Stipendi, altro che contrattazione collettiva: i salari restano fermi al palo

Gli stipendi continuano a restare fermi al palo: negli ultimi dieci anni non hanno retto il peso dell'inflazione.

Stipendi, altro che contrattazione collettiva: i salari restano fermi al palo

La priorità del governo sono gli stipendi. Lo ha detto più volte il vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini. Un messaggio ribadito da diversi ministri, quando hanno garantito che in manovra ci sarà un intervento per confermare il taglio del cuneo fiscale. Che gli stipendi debbano essere la priorità viene confermato dai dati sui salari italiani, tutt’altro che positivi, contrariamente a quanto più volte affermato da esponenti dello stesso governo, a partire dalla ministra del Lavoro, Marina Calderone.

Pagella Politica ha infatti esaminato come sono cambiati gli stipendi negli ultimi dieci anni, dimostrando come – soprattutto negli ultimi anni – la loro crescita sia stata ben inferiore a quella dell’inflazione. I prezzi salgono e gli stipendi no, quindi. Dimostrando anche come la contrattazione collettiva, tanto importante per il governo che la ritiene l’unico strumento utile per aumentare gli stipendi, più del salario minimo, spesso non sia in grado di sostenere i redditi dei lavoratori.

L’indice delle retribuzioni: gli stipendi non tengono il passo dell’inflazione

L’analisi si basa sull’indice Istat della retribuzione contrattuale oraria: dati che forniscono informazioni sugli stipendi in base ai contratti collettivi e alle norme in vigore. L’indice permette quindi di capire come sono cambiati gli stipendi tra il 2013 e il 2023. L’analisi considera come 100 il valore da cui partire nel 2013: nel 2023, dopo dieci anni, si è arrivati a 112, il che vuol dire che la crescita è stata del 12%. Più bassa di quella dell’inflazione, che da 100 è arrivata a 119: +19%.

L’inflazione è quindi aumentata più degli stipendi. Va detto che da 2013 al 2020, con una bassa inflazione, gli stipendi erano cresciuti più dei prezzi. Ma dal 2021 c’è stata una netta inversione di tendenza, con l’inflazione cresciuta di 14 punti fino al 2023, a fronte di retribuzioni in salita solo del 4%. Nel settore pubblico e nel privato gli stipendi sono cresciuti complessivamente allo stesso modo, venendo sempre superati dall’inflazione dopo il 2021. Nel pubblico l’andamento è stato altalenante, mentre nel privato è stato costante e con un incremento maggiore nel 2023.

I salari settore per settore

Nel privato si registrano notevoli differenze tra i diversi settori. In dieci anni l’agricoltura è l’unico comparto in cui gli stipendi sono aumentati del 19%, stando quindi al passo con l’inflazione. Molto più bassi gli incrementi altrove, dal 15% dell’industria al 9% dei servizi. Meno della metà dell’inflazione in quest’ultimo caso.

Fino al 2021, però, tutti i settori vedevano una crescita degli stipendi più alta dell’inflazione, ma dopo quella data solo l’agricoltura ha retto. Peraltro nel 2023 per i servizi si è registrato l’aumento più basso rispetto all’anno precedente. Andiamo nel dettaglio: per il comparto metalmeccanico l’incremento è stato del 15%, per il settore di banche e assicurazioni del 13%, per i trasporti del 12%, per l’edilizia dell’11% e per il commercio solamente dell’8%. Ancora peggio fa il settore alberghiero: solo un +6%.

Risultati che spiegano come la contrattazione collettiva non sempre sia la soluzione giusta. Molto dipende dai sindacati e anche dalle stesse aziende che portano avanti le trattative, come visto per esempio di recente con il rinnovo contrattuale dei bancari, con una crescita record dei salari, dopo una trattativa guidata anche dagli stessi istituti dopo i profitti record degli ultimi due anni. In conclusione, gli stipendi aumentano poco e la contrattazione collettiva si dimostra spesso inefficace a fronteggiare il caro prezzi. Come avviene, invece, in altri Paesi in cui i salari crescono molto di più. Anche grazie al salario minimo rivisto al rialzo, mentre in Italia il governo lo continua a boicottare.