“State calmi, ragazzi”: la politica estera secondo Meloni nell’intervista della premier al Financial Times

Meloni si dice costruttrice di ponti, ma resta sospesa tra Trump e Bruxelles, senza una direzione e senza una politica estera

“State calmi, ragazzi”: la politica estera secondo Meloni nell’intervista della premier al Financial Times

C’è chi media tra due parti in conflitto per costruire ponti. E c’è chi gioca a fare l’equilibrista per non scontentare nessuno, ma finisce per scontentare tutti. Giorgia Meloni, in un’intervista al Financial Times ha messo in scena l’ennesimo numero da mimo diplomatico, vendendo incertezza come prudenza, ambiguità come strategia, e subalternità come mediazione.

“Costruttrice di ponti” o portavoce trumpiana?

L’Italia, dice, non dovrà scegliere tra Europa e Stati Uniti perché sarebbe “infantile”. Ma la verità è che l’asse di riferimento lo ha già scelto da tempo, e non è Bruxelles. È Washington, o meglio: è la Washington trumpiana, quella che disprezza la Nato, impone dazi all’Europa, tratta Kiev come un fastidio e considera l’Unione europea un ostacolo da aggirare. Meloni si dice “più vicina a Trump che ad altri”, e intanto evita di criticare anche solo timidamente un vicepresidente americano – JD Vance – che ha accusato l’Europa di aver abbandonato la democrazia. “Sono d’accordo” è la risposta. Non una parola sulle derive autoritarie americane, non una difesa della casa comune europea. Solo la solita, comoda invettiva contro una “classe dirigente europea” che “impone ideologia”. 

Meloni respinge l’idea di uno schieramento perché vuole essere “una costruttrice di ponti”. Ma i ponti richiedono solidità da entrambi i lati. Lei, invece, accetta da Trump l’umiliazione dei dazi sull’acciaio e sull’automotive come se fossero un normale aggiustamento commerciale. Alla Commissione europea, che prepara contromisure, risponde con un paternalistico “State calmi, ragazzi”. Come se fosse un litigio tra ragazzini che fanno chiasso in cortile e non una scure sulle aziende europee e quindi anche italiane. 

Anche sulla guerra in Ucraina il funambolismo diventa scollegamento dalla realtà. Mentre Macron e Starmer propongono una forza europea di rassicurazione, Meloni teme che possa “sembrare una minaccia” alla Russia. Così propone di estendere l’articolo 5 della Nato all’Ucraina, ma senza farla entrare nella Nato. Una formula magica, inutile e incoerente, che nessuno prende sul serio. Eppure è la stessa premier che continua a dichiararsi sostenitrice di Kiev, mentre si ritira dai tavoli dove si prendono le decisioni più serie.

Anche quando si parla di difesa e spese militari, Meloni oscilla. Promette di raggiungere il 2% del Pil richiesto dalla Nato, ma poi si dice “preoccupata” per l’impatto sui conti pubblici. Lancia allarmi sulle minacce a 360 gradi, ma riduce il problema della sicurezza a un esercizio retorico sulle “minacce dal Sud”. E quando si tratta di spiegare come mai l’Italia è fanalino di coda nella spesa dei fondi del Pnrr, risponde con lo slogan: “Non sto qui a scaldare la sedia”. Nessuno lo pensava, ma il problema è che non è nemmeno chiaro dove voglia portarla, quella sedia.

Una politica estera sospesa nel vuoto

Alla fine, l’intervista al Financial Times è un compendio di tutte le incertezze e ambiguità di un governo che pretende di guidare l’Europa ma non ha il coraggio di affrontarne le sfide. È un’esibizione di prudenza che somiglia sempre più a passività. Meloni cerca di raccontarsi come la leader capace di tenere insieme Trump e Bruxelles, ma quello che emerge è solo una figura che teme troppo il primo per difendere la seconda.

Nell’interregno tra una crisi e l’altra, tra un’intervista rassicurante e una foto con Milei, il progetto di una politica estera italiana autonoma evapora. E l’equilibrista resta lì, sospesa nel vuoto, senza rete e senza direzione. Anzi, peggio: è la stessa che si lamenta di una mancanza di politica estera europea. Un capolavoro.