Con la prima fase del cessate il fuoco conclusasi sabato e lo stallo nei negoziati tra Hamas e Israele per discutere il secondo step dell’accordo, la situazione nella Striscia di Gaza si fa sempre più critica. Dopo che Tel Aviv ha proposto di prolungare la tregua per tutto il Ramadan e il conseguente rifiuto del movimento palestinese, contrario a una tregua a termine e intenzionato a proseguire con la seconda fase dell’accordo che dovrebbe portare a una pace definitiva, non si è fatta attendere la reazione furiosa del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu.
Il leader israeliano, deciso a mettere pressione su Hamas e forte del sostegno del presidente americano Donald Trump, ha minacciato la ripresa dei combattimenti se il gruppo palestinese “non accetterà il piano di pace” proposto dagli Stati Uniti, che prevede lo sfollamento totale della popolazione della Striscia per poi prendere il controllo del territorio e trasformarlo in una “Riviera del Medio Oriente”. Contestualmente, Netanyahu ha annunciato il blocco dell’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza.
Prosegue lo stallo nei negoziati e a Gaza torna l’incubo della guerra
A confermare che non si tratta di mere dichiarazioni sono le organizzazioni umanitarie, secondo cui da sabato – giorno in cui sarebbe dovuta partire la fase 2 dell’accordo – Israele ha effettivamente bloccato l’accesso agli aiuti umanitari. “Gli aiuti umanitari non dovrebbero mai essere usati come uno strumento di guerra. Indipendentemente dall’andamento dei negoziati tra le parti, la popolazione di Gaza ha ancora bisogno di un immediato e massiccio aumento di forniture umanitarie”, ha dichiarato in una nota Caroline Seguin, responsabile per l’emergenza Gaza di Medici Senza Frontiere (MSF).
Una posizione ampiamente condivisa da diversi Paesi dell’Unione Europea, che hanno immediatamente criticato la decisione di Netanyahu. Tra i più duri c’è la Germania, che ha invitato Israele a “rimuovere immediatamente” gli ostacoli agli aiuti umanitari, affermando che la loro consegna “non è un legittimo mezzo di pressione nei negoziati” e lanciando un appello “ad entrambe le parti a tornare al tavolo dei negoziati e ad assicurare il mantenimento dell’accordo di cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi”. Sulla stessa linea il governo spagnolo, con il ministro degli Esteri José Manuel Albares, secondo cui Madrid “respinge in maniera categorica” la decisione di Israele sul blocco degli aiuti ai palestinesi.
Netanyahu mantiene la linea dura
Le critiche, però, non sembrano scuotere Netanyahu, che ha ribadito la sua posizione intransigente nei confronti di Hamas, dimostrando di non essere intenzionato ad avviare un vero negoziato. Anzi, sfidando sia Hamas sia la comunità internazionale, il ministro israeliano degli Affari Strategici, Ron Dermer, considerato uno dei più stretti collaboratori di Netanyahu, ha dichiarato di essere ottimista sulla possibilità di un futuro accordo con i palestinesi, aggiungendo però che ciò sarà possibile solo “se Hamas verrà definitivamente sconfitto”.
Un risultato che Dermer ritiene necessario per “eliminare il veleno dall’istruzione palestinese”, perché solo a quel punto i palestinesi “capiranno che l’idea di sconfiggere Israele è impossibile”.
Alta tensione e nuove operazioni militari
Di fronte alla sempre più probabile ripresa delle ostilità, in queste ore si registra un tentativo disperato dei mediatori egiziani per rilanciare le trattative. Il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi ha proposto “un nuovo piano di pace” per ridurre le divergenze tra Israele e Hamas. Secondo il quotidiano qatariota Al-Araby Al-Jadeed, la proposta prevederebbe una breve pausa in cui procedere “con il rilascio di tre ostaggi vivi e dei corpi di altri tre”, ottenendo in cambio ulteriore tempo per consentire a Hamas e Israele di raggiungere un’intesa duratura.
Tuttavia, l’iniziativa non sembra riscuotere consenso tra le parti, che restano ferme sulle loro posizioni. Nel frattempo, l’esercito israeliano (IDF) ha ripreso a condurre “attacchi mirati”, colpendo Beit Hanoun, nella parte settentrionale della Striscia, Khan Younis e Rafah, nella parte meridionale. I raid hanno causato sei vittime e una decina di feriti.