di Flavio Di Stefano
Comunque vada, stasera a Wembley, sarà Deutschland über alles. Roba da far rivoltare nella tomba Winston Churchill. La nazione che inventò il Football farà da cornice, nel suo tempio sacro, alla consacrazione del calcio tedesco sul tetto d’Europa. Borussia Dortmund contro Bayern Monaco: due rovesci della stessa medaglia, due filosofie e due storie che, seppur diverse, rappresentano alla perfezione il volto nuovo del calcio tedesco. La finale di Champions League altro non è se non il giusto premio a un intero movimento calcistico che ha saputo ripartire, più o meno da zero, e che ora detta legge nel Vecchio Continente.
La rifondazione tecnica
Eppure, poco più di un decennio fa, il Fussball aveva toccato i minimi storici. In Belgio e Olanda si giocavano gli europei, era il 2000, e la Germania raccolse la miseria di un punto contro Portogallo, Romania e Inghilterra. L’ultimo posto nel girone eliminatorio mise a nudo le carenze strutturali di un sistema oramai superato. Così i vertici federali decisero di ripartire dalle base, investendo risorse economiche e umane nei settori giovanili. L’inizio del millennio è l’alba di una nuova era per il calcio tedesco, in tutta la nazione vengono istituite oltre 100 accademie. Da quel momento ad oggi sono stati spesi 620 milioni di euro per la cura dei vivai. Nel 2002 fallisce il gruppo editoriale Kirch, che deteneva i diritti televisivi della Bundesliga. I club non possono più contare sugli introiti derivanti dalle pay tv e decidono, per provare a essere competitivi a livello europeo, di coltivare in casa i campioni che non potranno comprare. La Dfb (Deutscher Fussball-Bund) affianca le società con un lavoro capillare di scouting e addestramento nelle selezioni giovanili. Il progetto reale è quello di cambiare la tradizione stessa di un calcio tra i più prestigiosi del mondo. Un calcio tutto muscoli e atletismo dal passato glorioso (3 titoli Mondiali e 3 Europei) ma dal presente desolatamente povero di talenti. Così gli istruttori del settore giovanile lavorano su un’idea di calcio propositiva e spettacolare, in cui nulla è lasciato al caso e l’addestramento tecnico è importante tanto quanto la preparazione atletica. I selezionatori si concentrano sulla formazione dei singoli e sulla condivisione un’identità di collettivo esportabile anche nei club, non è un caso che Bayern e Borussia (vincitrici delle ultime 4 edizioni della Bundesliga e finaliste di Champions League) adottino lo stesso sistema di gioco della Germania di Löw: 4-2-3-1.
Il modello industriale
Ma il nuovo calcio tedesco è un esempio virtuoso anche sotto il profilo “industriale”. La svolta è arrivata con i Mondiali di Calcio ospitati nel 2006, in quell’occasione le istituzioni investirono una cifra vicina al miliardo e mezzo di euro per i lavori di ristrutturazione e ampliamento degli stadi. Gli stessi che vengono regolarmente riempiti ogni settimana, la Bundesliga infatti è il campionato di calcio che vanta la migliore media spettatori per gara nel mondo: 44.293.
La svolta
La ricetta è semplice: programmazione e bilanciamento delle entrate. Non esiste la dipendenza da pay tv, così sponsor, merchandising e ticketing rappresentano le voci più rilevanti dei ricavi. I proventi da diritti tv sono di poco superiori al 30% (in Italia sono mediamente al 64%). Il rinnovo dei diritti tv copre il 26% delle entrate totali (nel resto d’Europa la percentuale varia tra il 45 e il 60%). Inoltre gli stipendi i di allenatori e giocatori incidono sul bilancio per il 37.8% contro una media del 64% dei maggiori club europei. Tutto questo è reso possibile anche dalla regola del 50+1 nella struttura delle società. Eccezion fatta per il Wolfsburg con Volkswagen e il Leverkusen con Bayer, nessun singolo azionista può controllare oltre il 49% del pacchetto azionario dei club, i quali vengono gestiti da manager sottoposti a controllo ed eventuale giudizio sull’operato da parte dei soci. In sintesi, nessun emiro potrebbe entrare in Bundesliga facendo saltare gli equilibri con spese a fondo perduto. I club sono rigorosamente contrari.