A termine o a tempo indeterminato sempre di lavoro si tratta. L’assioma di partenza della neoministra Marina Calderone la dice lunga sulla piega neoliberista che la destra ha deciso di imprimere alle politiche economiche del primo governo a trazione sovranista della storia repubblicana.
Perché “una cosa è la flessibilità” altra cosa “è la precarietà”, argomenta l’ex presidente dei consulenti del lavoro. “Se noi partiamo dal principio che un contratto a tempo determinato sia necessariamente una condizione di precarietà, penso che sbagliamo – aggiunge -. Noi dobbiamo guardare a come viene gestito quel rapporto di lavoro e soprattutto quali sono poi le opportunità che il lavoratore ha di veder proseguire l’esperienza”.
Una logica, d’altra parte, in perfetta sintonia con quella seguita per il taglio al Reddito di cittadinanza ai cosiddetti occupabili: niente sussidio se sei in grado di lavorare. Ma che ne condivide pure gli stessi difetti. Il ragionamento della ministra non farebbe una piega se il mercato del lavoro non versasse nelle condizioni in cui versa oggi.
Con un tasso di disoccupazione intorno all’8%, migliaia di imprese sfiancate dalla crisi innescata dalla pandemia prima e dalla guerra poi, per di più con lo spettro della recessione alle porte. In questa situazione, descrivere i contratti a termine come una “opportunità” e togliere il Reddito di cittadinanza agli occupabili, come se il lavoro crescesse sugli alberi, la dice lunga sulle intenzioni di questo Governo.