Autunno 2013. Dopo alcuni mesi di fibrillazione e di stallo, con il Governo di Enrico Letta si parte con la nuova legislatura e il Parlamento può cominciare a pensare alle nuove commissioni e ai membri che ne faranno parte. L’allora capogruppo del Nuovo Centrodestra appena formatosi, Renato Schifani, avanza un nome per la Commissione Antimafia. Il nome è quello di Antonio Caridi, senatore oggi passato – dopo vari balzi da buona banderuola – a Gal (Grandi Autonomie e Libertà). Al tempo tutti erano d’accordo, da sinistra a destra. Un uomo una garanzia. Ad opporsi, come sempre in questi casi, il Movimento Cinque Stelle, con la deputata Dalila Nesci. La nomina saltò. La Nesci ci aveva visto giusto.
A distanza di quasi due anni, l’indagine condotta dal Ros di Reggio Calabria, diretta e coordinata dal pm Giuseppe Lombardo, è destinata a cambiare il modo di intendere la ‘ndrangheta e di combatterla, perché – finalmente – il nemico, quello vero, ha un volto. Si chiama mammasantissima o Santa. E ora non è più invisibile, come avrebbero voluto i membri. Ora ha nomi e cognomi. E tra quei nomi e cognomi ci sono tanti, troppi politici. Dall’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra fino, appunto, al senatore Antonio Caridi. Il primo è finito in manette questa notte, insieme al funzionario regionale Francesco Chirico, mentre per Caridi si attende l’autorizzazione della camera di appartenenza. Ed è stata proprio la Santa a decidere – per troppi anni – nomi e volti di chi è stato chiamato a governare, in Calabria e come a Roma. Sempre allo stesso livello, si è stabilito come determinare e orientare i grandi flussi economici dei finanziamenti pubblici.
SEGNALI DALLA LIGURIA – E Caridi era una pedina fondamentale. E, probabilmente, era per questo che la ‘ndrangheta voleva posizionarla in Commissione Antimafia. Tutto saltato, come detto. E per quale motivo? Perché già c’erano – in realtà – pesanti ombre sul senatore Gal. Il suo nome era comparso, infatti, nel 2011 in un’inchiesta della Dda di Genova. Da assessore della Regione Calabria alle Attività produttive, Caridi era finito nel dossier che la Dda di Genova inviò successivamente all’ex presidente della Commissione parlamentare antimafia Beppe Pisanu. Nel dossier si faceva riferimento all’appoggio, fornito da “famiglie” calabresi in Liguria nel corso della campagna elettorale per le regionali in Calabria, in favore di Antonio Caridi, con esponenti dei clan che avrebbero compiuto pure delle intimidazioni per dirottare i voti. Ma non basta. Anche l’ex killer del clan De Stefano, ovvero Giovanbattista Fracapane, aveva fatto il nome di Antonio Caridi quale politico gradito al boss Orazio De Stefano o comunque di aver sentito tale nome negli ambienti mafiosi di Archi.
LA RETE DELLA SANTA – Per ora gli ordini di arresto sono solo cinque (oltre a Sarra, Chirico e Caridi, l’ex deputato del Psdi Paolo Romeo già in carcere, e l’avvocato Giorgio De Stefano), ma altri ce ne saranno nei prossimi giorni. Ciò che però stupisce è l’enorme rete che la Santa aveva creato. Tramite loro – ha scoperto il pm Lombardo – la nuova struttura avrebbe agganciato politici del calibro dell’attuale vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri. Ma non basta. Quello che pare è che anche l’ex sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti, sia stato “creato” dalle ‘ndrine perchè considerato più manovrabile del suo sfidante Demetrio Naccari Carlizzi, e per questo traghettato dalla Regione allo scranno più alto di Palazzo San Giorgio, in un periodo fondamentale per la città calabrese dello Stretto. Basta? No. Sarebbe stata la Santa, ancora, a scegliere per la provincia Pietro Fuda, e per il parlamento europeo Umberto Pirilli. In tanti però avrebbero beneficiato dei loro servigi e dei loro pacchetti di voti. Secondo quanto ricostruisce Il Corriere della Calabria, infatti, parliamo di Demetro Strati del Cdc, di Leandro Savio della lista civica Alleanza per Scopelliti, di Massimo Labate, Paolo Gatto, Beniamino Scarfone e Seby Vecchio, per An. Ora che il velo di Maya è rotto, le ‘ndrine cominciano a tremare davvero.