Trenta euro per un voto. Era il ‘compenso’ assicurato dal clan rom dei Di Silvio a numerosi tossicodipendenti chiamati, dietro minaccia, ad esprimere la propria preferenza in favore di alcuni candidati alle elezioni comunali di Latina del 2016. Si tratta di uno degli aspetti emersi dalle indagini sfociate nell’operazione “Alba Pontina”, che ha permesso alla Polizia di Stato di disarticolare un’organizzazione capace di monopolizzare a livello locale il racket e il traffico di droga. Diversi e documentati anche i veri e propri casi di compravendita del voto, a beneficio di candidati che peraltro non sono stati eletti. “Nell’insieme – ha sottolineato il procuratore aggiunto della Dda di Roma, Michele Prestipino, nel corso di una conferenza stampa – si tratta di episodi di gravità diversa, indice però della mafiosità del gruppo”.
Il clan, inoltre, gestiva la propaganda elettorale in favore di alcuni candidati, provvedendo, dietro compenso, all’affissione di manifesti elettorali e imponendo i loro candidati grazie alla caratura criminale. Nell’auto di un sorvegliato speciale, è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare, sono stati trovati, tra gli altri, una serie di manifesti del candidato della Lista Salvini per le comunali del 2016.
A capo dell’organizzazione Armando Di Silvio, detto Lalla’, che poteva contare sull’apporto di familiari, tra cui i figli, la moglie e fidatissimi “collaboratori”. Per la prima volta in territorio pontino viene riconosciuta l’esistenza di un associazione mafiosa autoctona, non legata a gruppi criminali siciliani, calabresi o campani. Una struttura piramidale, tipica delle grandi organizzazioni criminali come Cosa nostra e ‘Ndrangheta. Una organizzazione criminale composta nata nel territorio pontino e in pochi anni cresciuta al punto da poter tenere sotto scacco imprenditori e professionisti puntando anche ad influenzare le elezioni politiche.
Due anni di serrate indagini, avviate grazie alle dichiarazioni di un pentito, 25 arresti, in carcere e domiciliari, oltre 45 capi di imputazione: gli arrestati, tra cui sette donne, sono ritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, violenza privata, favoreggiamento, intestazione fittizia di beni, riciclaggio e reati elettorali, tutti aggravati dalle modalità mafiose. Dal loro quartier generale di Campo Boario, i Di Silvio imponevano il pizzo a imprenditori, commercianti e professionisti. Le richieste estorsive pressanti e spesso accompagnate da vere e proprie minacce di morte erano rivolte anche ad esponenti dell’avvocatura tanto da spingere l’Ordine, nel 2016, ad indirizzare una lettera a tutti gli iscritti esortandoli a denunciare.
“Fino ad ora ci siamo misurati con gruppi criminali, per così dire, tradizionali: propaggini di ‘ndrangheta e camorra, ma ora c’è una sorta di salto di qualità, tanto che ci siamo trovati davanti ad un gruppo del tutto autoctono, – ha spiega il procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino durante la conferenza stampa al Viminale – insediato da tempo nel territorio di Latina, creatosi a partire dal 2010 dopo una sanguinosa guerra tra diversi gruppi e quello dei Di Silvio ne è uscito vincitore, ottenendo così l’egemonia totale del territorio”. “A Latina comandiamo noi…io, Armando e i figli”, afferma al telefono il braccio destro del boss. Non solo estorsioni. Importante fonte di approvvigionamento per il clan Di Silvio, secondo le indagini della Squadra mobile di Latina, era il traffico di droga. A gestirlo, il ramo femminile della famiglia con a capo Sabina De Rosa, compagna convivente di Armando, padrona di casa usata come centrale di spaccio h24. A lei secondo gli inquirenti, il compito di gestire le donne del clan e tutte le operazioni di preparazione, confezionamento e vendita degli stupefacenti da immettere sul mercato grazie anche al coinvolgimento di ‘soldati’ per la vendita al dettaglio. “La casa di Armando Di Silvio- ha spiegato il Capo della Squadra Mobile di Latina, Carmine Mosca – era diventato un vero e proprio supermarket della droga”. La cocaina rappresentava infatti uno dei business più fiorenti e in poco tempo aveva portato il gruppo ad essere particolarmente sfrontato anche nei confronti di altri gruppi criminali, arrivando persino a rubare le partite di stupefacenti e a scappare.
“Si tratta di un gruppo storico, quello dei Di Silvio-Ciarelli, famiglie di etnia rom che si sono alleate per controllare il territorio – ha proseguito Prestipino – e che fino al 2010 si erano contrapposte ad altre famiglie con fatti di sangue estremamente gravi. In questi anni hanno dimostrato capacità di controllare il territorio strada per strada, quartiere per quartiere“. Cio ha comportato “estorsioni sistematiche a tappeto in base alla regola secondo cui ‘tutti devono pagare tutto’. Per la prima volta sottoposta a estorsioni la categoria degli avvocati, che hanno ricevuto la visita degli esponenti di questo gruppo nei loro studi”. Non solo: “L’altra novità sono i reati in materia elettorale – prosegue Prestipino – si tratta di manovalanza nell’attacchinaggio elettorale e compravendita di voti. Nella loro complessità questi fatti sono indici importanti della mafiosità del gruppo, capace di stringere rapporti con la politica“. Dalle indagini, illustrate oggi in una conferenza stampa a Roma, sono emersi casi di compravendita di voti: gli esponenti del clan avrebbero costretto dei tossicodipendenti a dare la propria preferenza in favore di alcuni candidati (poi non eletti) alle comunali di Latina ricevendo in cambio circa 30 euro a voto.