Stangata per l’Eni. Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso della società petrolifera amministrata da Claudio Descalzi (nella foto) e confermato la sanzione da cinque milioni di euro inflitta al Cane a sei zampe dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato per lo spot sulla valenza ecologica del combustibile Eni Diesel+, ritenuto ingannevole.
IL PUNTO. Eni Diesel+, senza distinzione di categoria di veicoli in cui utilizzarlo, veniva presentato come un combustibile in grado di ridurre “fino al 40%” le emissioni gassose e in media del 5% ka CO2 e che assicura “fino a1 4%” di riduzione dei consumi. Tutto conditto da messaggi ad effetto come “green/componente green”, “rinnovabile” e un diesel che “aiuta a proteggere l’ambiente”.
Ad essere poco convinti di quella campagna pubblicitaria e di un combustibile così verde sono stati il Movimento Difesa del Cittadino, Legambiente e la federazione European Federation for Transport and Environment AISBL, che hanno portato l’Antitrust ad aprire un procedimento ai sensi del Codice del consumo, conclusosi con la sanzione milionaria. Il colosso petrolifero, impugnando il provvedimento, ha sostenuto che l’Antitrust avrebbe modificato l’oggetto principale delle proprie contestazioni successivamente alla comunicazione degli addebiti, accertando una pratica commerciale scorretta radicalmente diversa da quella contestata nel corso del procedimento, e che così facendo avrebbe violato i diritti di difesa dell’azienda e “i basilari principi del contraddittorio, che non si sarebbe sviluppato sui reali profili di contestazione”.
In particolare, il Cane a sei zampe ha specificato che, mentre nella comunicazione di avvio del procedimento e nella comunicazione degli addebiti il focus delle contestazioni si incentrava sulla fondatezza dei vanti prestazionali e sull’utilizzo dell’olio di palma, nel provvedimento finale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato avrebbe “riformulato” gli addebiti ambientali, contestando per la prima volta una scorrettezza “a monte”, in grado di mettere in discussione l’intera impostazione della campagna pubblicitaria, riconducibile all’indebito utilizzo a fini promozionali del termine “green” in associazione ad un gasolio per autotrazione.
Sempre l’Eni ha poi sostenuto che la nozione di “green” propugnata dall’Autorità non troverebbe corrispondenza nella realtà, in assenza di prodotti a impatto zero ma solo di opzioni di consumo a minore impatto ambientale rispetto alle alternative esistenti, categoria a cui sarebbe riconducibile Eni Diesel+. Il Tar ha però ritenuto il ricorso infondato e avallato la sanzione, specificando che l’Antitrust ha sempre fatto riferimento nel procedimento contestato all’utilizzo da parte della spa, nei claim pubblicitari, del termine green ritenuto scorretto.
“La ricorrente – si legge nella sentenza – era certamente in grado di comprendere il contenuto dell’addebito formulato e le è stato consentito di difendersi, nel corso del procedimento, sul tema della utilizzabilità del termine “green” e, in generale, sulla questione dell’impatto ambientale asseritamente positivo del carburante pubblicizzato”.
I giudici hanno quindi aggiunto che l’Autorità, “muovendosi nel solco interpretativo indicato dalla Commissione europea, ha puntualmente motivato sulle ragioni per cui nei messaggi pubblicitari diffusi da Eni il termine “green” era idoneo a generare una “elevata confusione” nei confronti dei consumatori”. E bene anche la maxi sanzione.