Basta la contrattazione collettiva, sosteneva il Cnel. Il salario minimo “non è lo strumento adatto”, gli faceva eco la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Sottolineando che “il mercato del lavoro italiano rispetta pienamente i parametri previsti dalla direttiva europea” che chiede di introdurre in tutti gli Stati membri una soglia minima retributiva. Ecco, la retorica del Cnel e di Meloni viene ora smontata completamente dalla Commissione europea e, in particolare, dal commissario al Lavoro, Nicolas Schmit. Che in un’intervista a La Stampa demolisce il punto a cui l’Italia si è sempre appigliata per non approvare una legge che introduca il salario minimo.
Per l’esponente dell’esecutivo comunitario, la direttiva “non dice che i Paesi che hanno un elevato livello di contrattazione collettiva non devono introdurre il salario minimo”. Questo punto è vero per quei paesi, “come l’Austria o la Svezia, che non ne hanno bisogno”. Non per l’Italia, in cui la situazione è diversa. Schmit definisce quello di Roma come un caso particolare, perché è elevato il tasso di copertura della contrattazione collettiva, ma “al tempo stesso presenta settori interi con stipendi molto bassi”. Quindi la questione si pone per un semplice motivo: a essere ritenuta insufficiente è proprio la contrattazione collettiva, che non garantisce in alcuni settori stipendi adeguati e in linea con la direttiva sul salario minimo.
Salario minimo, oltre la direttiva Ue
Non è solo un discorso concernente l’applicazione di una soglia minima, come vorrebbe l’Ue. Per il commissario livelli bassi dei salari sono un problema perché “disincentivano le persone a lavorare o le spingono a farlo in nero”. E anche per questo il salario minimo può essere utile, per contrastare queste tendenze. Inoltre l’Italia deve affrontare un altro problema, secondo Schmit, quello della fuga dei giovani: avere un salario minimo “potrebbe incitare molti giovani a restare in Italia”.
Insomma, non si può di certo dire, secondo il commissario Ue, che la contrattazione collettiva del settore privato è sufficiente a sopperire all’assenza del salario minimo. Un avvertimento su cui anche il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, incalza il governo spiegando che “ormai a remare contro sono rimasti solo Meloni, Salvini e Tajani: sono troppo impegnati ad aumentare le tasse e a tagliare le pensioni”. Sicuramente per Meloni e per il Cnel ora sarà più difficile dire che il salario minimo in Italia è inutile perché la contrattazione collettiva lo può rimpiazzare: da Bruxelles, in sostanza, è stato fatto decadere l’alibi preferito delle destre sulle paghe minime.