Non è la prima volta che accade: dopo la pausa estiva i nostri parlamentari tornano alle “sudate carte” e si trovano tra le prime cose subito dinanzi un atto governativo non di poco conto e di cui, finora, nessuno aveva parlato e di cui forse, visto il periodo, pochi sentivano l’esigenza. Fatto sta che pochi giorni fa il governo – e nella fattispecie il ministro della Difesa Lorenzo Guerini – ha consegnato in Parlamento un atto su cui ora dovranno pronunciarsi le commissioni competenti (Difesa e Bilancio).
L’oggetto è molto chiaro (qui il documento): “Schema di decreto ministeriale di approvazione del programma pluriennale […] relativo allo sviluppo di un Remotely Piloted Aircraft System (RPAS) classe Medium Altitude Long Endurance (MALE) europeo con capacità Armed Intelligence, Surveillance, Target Acquisition and Reconnaissance”.
In altre parole, la nostra Difesa vuole sviluppare – e pagare – un nuovo drone che rientra a sua volta nei programmi europei. Poco male visto il periodo non proprio roseo da un punto di vista economico. La cosa strana, però, è che ad oggi risulta impossibile conoscere l’entità della spesa per il nostro Paese. Contrariamente a come capita per tutti – nessuno escluso – gli atti del governo sottoposti a parere parlamentare, nel caso dei droni il documento da cui emergerebbe anche l’entità della spesa risulta al momento “non disponibile”. In altre parole: top secret. “Almeno fino a quando non sarà analizzato dalle commissioni”, spiega un parlamentare a La Notizia.
IL DETTAGLIO. Peccato però che basta consultare il folto Documento Programmatico Pluriennale 2021-2023 vergato da Guerini per ritrovare i tanti propositi di acquisti da parte del ministero e trovare, dunque, anche proprio i droni, a cui è dedicata un’ampia scheda. Nel documento, ad esempio, si legge che l’investimento rientra “nell’ambito di un consorzio europeo mirato al potenziamento delle capacità di Intelligence, Surveillance & Reconnaissance, alla promozione dell’industria europea, ad iniziative di difesa congiunta”.
L’idea, ancora, è quella di garantire “pregiata capacità di acquisizione di informazioni e di persistenza nel monitoraggio delle aree di interesse”, e ancora “supporto all’intelligence, prevenzione e contrasto dei fenomeni illeciti, monitoraggio e contrasto di crimini connessi con lo sfruttamento delle migrazioni, contrasto dei traffici illegali via mare, studio del territorio nazionale per la sua valorizzazione o la prevenzione di calamità naturali”. Tutto chiaro, fatto salvo per quell’armed intelligence – che pure si richiama nell’oggetto dell’atto – che non viene adeguatamente spiegato.
MAXI-SPESA. Ma arriviamo ai costi. Secondo il programma ministeriale tutto il programma costerà alle casse pubbliche 1.903 milioni di euro da qui al 2035 (105 nel 2022, 125 nel 2022, e poi a salire). Chi paga? La Difesa. Ma forse anche lo Sviluppo economico dato che “la valenza strategica ai fini della promozione dell’industria nazionale – che ne riceverà importante anche in termini di acquisizione di know-how e certificazioni rilevanti in ottica delle future regolamentazioni europee – è oggetto di valutazione col MiSE”. Se non è sviluppo questo, d’altronde, cos’altro è.