di Alessandro Ciancio
Sarà pure triste ammetterlo, ma lo spettacolo l’altro giorno dell’aula deserta della Camera dei deputati ha regalato al dibattito parlamentare sul femminicidio un risalto sui media che altrimenti non avrebbe mai avuto. Le polemiche e le accuse reciproche di indifferenza hanno fatto più rumore delle proposte espresse dai pochi presenti nella prima seduta dedicata alla ratifica ed esecuzione della “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, stipulata a Istanbul l’11 maggio 2011.
Ieri quel dibattito si è finalmente concluso e la diretta televisiva della Rai ha favorito il miracolo di una presenza massiccia dei deputati, unanimi (545 voti a favore su 545) nel volere la ratifica della Convenzione e però ben attenti a differenziarsi in 13 diversi ordini del giorno sul tema della violenza alle donne. Non perché le opinioni dei partiti in materia siano sensibilmente differenti tra loro ma solo in quanto, soprattutto in queste occasioni, va privilegiata la logica della bandierina di parte da sventolare di fronte ai telespettatori.
Dopo il necessario passaggio nell’aula del Senato, l’Italia diventerà così quinta nazione a ratificare il testo della Convenzione (dopo Montenegro, Albania, Turchia e Portogallo). Perché diventi applicativa dovranno comunque essere almeno dieci gli Stati che dovranno sottoscriverla, di cui almeno otto componenti del Consiglio d’Europa. Intervenendo dai banchi del governo, la vice ministro degli Esteri Marta Dassù ha sottolineato come l’esecutivo sia impegnato in una azione costante nelle sedi internazionali per sollecitare le ulteriori ratifiche per l’entrata in vigore della convenzione. Quest’ultima punta a gettare le basi per una forma di tutela completa per le donne, intervenendo non solo sul piano della repressione ma anche sul quello della prevenzione, dell’assistenza, della sensibilizzazione culturale e dell’educazione. Un particolare riguardo viene dato a tutti quegli elementi e situazioni come la vulnerabilità che nasce dall’età, le condizioni di salute o la disabilità, lo status di migrante.
Dassù ha ricordato come l’articolo 5 preveda che le nazioni che sottoscrivono la convenzione dovranno adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per esercitare concretamente tutti quegli atti utili a prevenire, indagare, punire i responsabili e risarcire le vittime di atti di violenza contro le donne.
La promessa del governo
Ieri in aula gli interventi si assomigliavano tra loro, sottolineando come quello dibattuto non fosse un passaggio formale e una vuota celebrazione ma una chiara assunzione di responsabilità. Tutti hanno chiesto il rafforzamento degli strumenti di educazione e di prevenzione della violenza, la lotta senza cedimenti al bullismo, il consolidamento della rete sociale e sanitaria di protezione per le donne abusate e picchiate.
«Non c’è più tempo da perdere» ha detto ad esempio la deputata del Pd Michela Marzano. «Uno Stato che non protegge le vittime e che non previene la violenza sulle donne con azioni positive è uno Stato che viene meno alle sue funzioni».
Nel pensiero di tutti vi erano i concomitanti funerali a Corigliano Calabro della sedicenne Fabiana, ultima vittima di questa incredibile mattanza. Intervenuta alle esequie, il ministro alle Pari Oppurtunità Yosefa Idem ha voluto testimoniare il dolore di tutti gli italiani così tragica e assurda: «Ribadisco l’impegno del governo a fare della lotta alla violenza di genere un punto qualificante di questa legislatura». Vedremo adesso se e quanti soldi potranno essere stanziati affinché alcune iniziative concrete possano seguire alle tante parole spese in questi giorni.