Prima dello scoppio della guerra in Ucraina, la lotta al cambiamento climatico era al centro dell’agenda politica. Ora la transizione ecologica è sparita dai radar e si parla solo di un ritorno ai combustibili fossili. Professore Luca Mercalli, ci può spiegare cosa sta succedendo?
“Prima della guerra il tema era solo nell’agenda ma non era stato ancora affrontato in modo concreto. Possiamo dire che c’è stata una lunga gestazione durata oltre 40 anni che ci aveva portato, nel 2019, a mettere il tema ambientale e climatico almeno nell’elenco delle priorità ma, è bene precisarlo, non si stava facendo granché. E le cose sono peggiorate prima con la pandemia e successivamente con la guerra. Il punto di massima attenzione al problema c’è stato a dicembre 2019 con la proclamazione del Green deal europeo di Ursula von der Leyen. Poi a gennaio i primi annunci della pandemia in Cina, a febbraio l’arrivo del Covid in Italia e in Europa e a questo punto il tema ambientale è stato messo da parte. Curiosamente proprio la pandemia, nella prima fase, ha portato a un risultato ambientale indiretto poiché i lockdown in tutto il mondo hanno fatto crollare, per la prima volta nella storia dell’era post industriale, le emissioni del 6%. Perché è un dato importante? Perché ha dimostrato che è possibile ridurre l’inquinamento. Un risultato interessante che andava portato avanti, ovviamente senza limitazioni alle libertà individuali, con interventi strutturali. Invece si è scelto di ritornare al passato e ai combustibili fossili tanto che nel 2021, quando ancora non c’era la guerra, è stato segnato il record assoluto di emissioni. Un dato che potrebbe peggiorare visto che il 24 febbraio 2022 è scoppiato il conflitto che ha peggiorato le emissioni, in quanto già l’apparato militare ne produce in quantità industriale, e tutto ciò ha spostato l’attenzione dei governi sulle spese in armamenti. Parliamo di investimenti enormi con i fondi che dovranno essere recuperati altrove e io temo di sapere da dove li prenderanno: dall’ambiente. A conti fatti la situazione è molto peggiore perfino del periodo pre-pandemia. Eppure proprio i lockdown ci avevano dato un prezioso strumento”.
Parla dello smartworking?
“Esatto. Il telelavoro ci ha mostrato che anche in quel momento di chiusure, il mondo produttivo non si è fermato. Moltissime persone hanno continuato a lavorare da casa, senza dover prendere l’auto o altri mezzi inquinanti. Il telelavoro doveva diventare strutturale, ma la politica ha scelto diversamente adottando provvedimenti che hanno chiuso le porte a questa modalità e obbligato molti a tornare in ufficio. È assurdo”
Eppure proprio il conflitto ha mostrato la dipendenza europea dal petrolio e dal gas russo. Come se ne esce?
“Di fatto l’unica speranza che la guerra ci porta, parlo da un punto di vista della transizione energetica, è che spaventando le nazioni europee sulla loro dipendenza energetica, finisca per favorire la diffusione delle tecnologie Green. Il problema è che al momento non vedo nei governi, incluso quello italiano, una simile tendenza. La realtà è che si preferisce tenere il piede in due scarpe e quella più grossa è ancora quella del gas o addirittura del carbone. Eppure abbiamo decine di miliardi che l’Europa e gli Usa stanno usando, con procedure emergenziali, per fare arrivare le armi in Ucraina. Perché non si può fare lo stesso per spingere sulle politiche energetiche Green?”.
In Italia si torna a parlare di nucleare, definendolo pulito e sicuro. Eppure il problema delle scorie è irrisolto. Che ne pensa?
“Non si può giocare con le parole, il nucleare non è pulito. Una tecnologia che crea scorie che durano 100mila anni come può definirsi pulita? Può diventare un po’ più sicuro oppure produrre un po’ meno scorie ma non confondiamola con le tecnologie Green. E sul nucleare nessuno lo dice ma per mettere in servizio una centrale ci vogliono una decina di anni. Ma non abbiamo così tanto tempo, abbiamo l’esigenza di risparmiare energia e di produrne con tecnologie Green già da domani”.
Sul tema ambientale c’è anche chi specula. La Meloni, ad esempio, ha tuonato contro lo stop ai veicoli a benzina e diesel dal 2025, sostenendo che si punta sull’elettrico per favorire la Cina che è il maggiore produttore di batterie. Come stanno davvero le cose?
“Mi sembrano scuse molto puerili. Dobbiamo soltanto imparare a fare le batterie a casa nostra. Certo qualcuno può dire che le terre rare, con le quali si costruiscono le batterie come i computer e i telefonini, sono prevalentemente in Cina ma questo significa solo che dovremo comprarle sul mercato esattamente come loro acquistano da noi altri tipi di prodotti. Poi non dimentichiamoci che esiste la ricerca e che investendo in essa potremmo trovare materiali alternativi e che magari abbiamo già in casa”.
Sempre la Meloni ha esultato per lo stop dell’Europarlamento al Fit-55, la norma che proponeva di far pagare più tasse alle aziende inquinanti. A suo parere si è trattato di una vittoria da celebrare o di una sconfitta per l’intera Europa?
“Guardi esistono delle forze economiche che guardano al profitto immediato, mentre altre sono più a lungo termine e guardano alla sopravvivenza dei nostri figli. Come si può notare, stanno vincendo le prime e un giorno ci sveglieremo e saremo costretti a fare il conto dei danni, magari quando chi li ha provocati non ci sarà nemmeno più, e ci renderemo conto che è troppo tardi”.
Alla luce di quanto detto, ritiene realistici gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 dell’Onu e il rispetto degli impegni presi con gli accordi di Parigi?
“Se devo rispondere con un numero da 1 a 10, la mia valutazione è 2. Glielo dico francamente: non credo sarà possibile riuscire a centrare simili traguardi se non cambierà completamente l’approccio al problema”.