Pochi ne sono a conoscenza, ma ci sono anche in questo momento, nel pieno della discussione sulla necessità di bloccare la vendita di armi dirette ad Ankara, soldati italiani che, loro malgrado, presidiano il confine turco sul fronte sud orientale. Cioè proprio quello siriano e, più precisamente, curdo. E tutto questo è costato alle casse italiane nel 2019 qualcosa come 15 milioni di euro. Il dettaglio (che non è un dettaglio) emerge analizzando le tante missioni internazionali condotte dal nostro Paese. Due di queste hanno luogo proprio in territorio turco e sono state entrambe volute e organizzate dalla Nato. E questo, forse, spiega l’atteggiamento molto morbido tenuto finora dall’organizzazione e dal segretario generale, Jens Stoltenberg, nei confronti di Recep Tayyip Erdogan.
NATO SUPPORT TO TURKEY. Ma partiamo da principio. La missione più esosa è sicuramente la “Nato support to Turkey”. Interessante capire obiettivo e ragioni di tale missione internazionale: “a seguito del peggioramento delle condizioni di sicurezza dell’area a ridosso del confine turco con la Siria – si legge nella relazione consegnata in Parlamento – la Nato ha accolto la richiesta della Turchia” di incrementare “il dispositivo di difesa area integrato lungo il confine turco-siriano […] per difendere la popolazione dalla minaccia di eventuali lanci di missili dalla Siria”. Si badi bene: “l’operazione ha l’obiettivo di contribuire ad allentare la crisi lungo il confine sud orientale dell’Alleanza”.
Insomma, mentre la Nato dispone soldati per difendere il confine turco, la Turchia stessa lo invade uccidendo anche civili. E in questo gioco paradossale e al massacro sono coinvolti anche militari italiani: secondo la scheda relativa alla missione, infatti, da gennaio a dicembre 2019 sono stati e saranno impiegati 25 mezzi terresti e 130 unità, per una spesa complessiva di oltre 12,7 milioni di euro. C’è da dire, peraltro, che la missione non nasce oggi ma è in piedi dal 2018, a seguito di un’espressa richiesta di Ankara all’Alleanza Atlantica su richiesta della Turchia a seguito dell’abbattimento, nel mese di giugno dopo – qualcuno ricorderà – l’abbattimento di un jet turco da parte di forze governative siriane e dopo l’uccisione, a ottobre 2012, di cinque civili turchi durante un bombardamento siriano.
ANCHE GLI AEREI. Ma, ovviamente, non è finita qui. A chiudere il cerchio c’è la seconda missione “per la
sorveglianza dello spazio aereo dell’area sud-orientale dell’Alleanza”. In questo caso l’operazione si inserisce nell’ambito delle cosiddette “Assurance Measures”, in pratica misure di sicurezza progettate dalla Nato “a causa del mutato contesto di sicurezza dei confini dell’Alleanza”. Parliamo di operazioni che consistono “in una serie di attività terrestri, marittime e aeree svolte all’interno, sopra e intorno al territorio degli alleati nell’Europa centrale e orientale, intese a rafforzare la loro difesa, rassicurare le loro popolazioni e scoraggiare le potenziali aggressioni”.
Ed è curioso che sia proprio la Turchia ora ad aggredire, nel silenzio più assoluto della Nato, considerando peraltro che, nel dettaglio, questa missione è stata voluta proprio da Ankara in funzione anti-Daesh, mentre ora si va a colpire quella popolazione che – unica – ha affrontato e sconfitto i miliziani jihadisti sul campo. Anche in questo caso l’Italia supporta l’attività garantendo attività di sorveglianza dello spazio aereo con due velivoli messi a disposizione. Importo della spesa per le casse pubbliche: 2,3 milioni di euro. Per un totale, come detto, di 15 milioni. Si attendono nuove da Guerini e Di Maio.