di Biagio Marzo
Era nell’aria che il Psi sarebbe stato penalizzato nella formazione della compagine governativa, vale a dire che non avrebbe avuto alcuna rappresentanza politica.
I socialisti, non avendo voluto costituire una lista socialista indipendente si sono apparentati col Pd, scegliendo l’opzione di essere eletti nel partito di Largo del Nazzareno, credendo che questa scorciatoia fosse la via maestra per entrare nella cabina di regia delle decisioni politiche e nella stanza dei bottoni del potere. Purtroppo in politica dal dire al fare c’è di mezzo il mare e la vicenda socialista della formazione del governo lo dimostra. Va da sé che il Psi si trova a tutt’oggi fuori dall’uscio di Palazzo Chigi. La maggioranza di governo, egemonizzata dal Pdl e dal Pd, ha applicato in modo scientifico una logica spartitoria. Non si vedeva da decenni una spartizione così certosina dei posti di governo e questa è la prova che si è voluto dar vita a un governo fortemente caratterizzato di centro – sinistra e blindato, senza smagliature di alcun genere. Una grande storia culturale e politica, come quella socialista, non era proprio il caso di umiliarla a mo di cavalier servente. Tant’è il Psi, unico partito di governo, si trova senza un membro nell’esecutivo. Ragion per cui, dopo questa sconfitta, dovrebbe ritrovare la via dispersa dell’autonomia che fu il veicolo che portò sia il Psi fuori della obsoleta alleanza col Pci sia all’incontro con la Dc; quando in entrambi i partiti si crearono le condizioni di governo all’inizio degli anni Sessanta del Secolo scorso.
Il centrosinistra storico, quello della prima fase che durò un lasso di tempo breve, fu molto proficuo sul terreno delle riforme, ma strada facendo la Dc, in particolare la corrente Dorotea, preferì inserire il freno a mano anziché l’acceleratore. Ora, appresa la lezione, quella di ieri e di oggi, si commetterebbe un peccato capitale non avere il coraggio di guardare avanti verso il futuro, anche perché il socialismo ha vinto sul comunismo. Chi racconta che la diaspora socialista è finita non sa come realmente stanno i fatti. La diaspora è sinonimo di arcipelago (partiti) in cui si sono riparati come naufraghi, come tanti Robinson Crusoe, i socialisti di tutte razze, dopo la liquidazione per via giudiziaria del Psi. Il fatto singolare della diaspora è che ogni socialista che è iscritto e/o che milita in un partito di destra, sinistra e centro non ha cancellato la lettera scarlatta socialista, come hanno fatto tanti comunisti che oggi negano di aver professato la ideologia comunista.
Partendo da questo presupposto si potrebbe gettare le basi per una operazione gradualista di unificazione socialista che dovrebbe avere come traguardo le elezioni europee del 2014, salvo complicazioni, ossia il precipitare del quadro politico nazionale. Non è detto che i singoli e/o i gruppi socialisti accasati dovrebbero cambiare partito di appartenenza, visto il clima che nessuno lascerebbe il certo per l’incerto, tuttavia si potrebbe aprire un tavolo di confronto dialettico su basi ideali oltre che programmatiche per verificare se c’è ancora un sentire comune tra i diversi interlocutori. Una operazione non semplice visto la gamma delle collocazioni e degli interessi personali, ma non resta altra strada per arrivare alla scommessa di unificare i socialisti.
Perché questa iniziativa? Perché siamo convinti che si aprirà, prima o poi, un processo di scomposizione e ricomposizione degli schieramenti in campo. Per intanto, è importante che lo stato maggiore Midas e i vertici del Psi dialoghino tra loro per ricercare un terreno comune in cui convivano il socialismo e il liberalismo. In base a una versione riveduta e corretta del riformismo legato all’idea del cosidetto Lib – Lab, o, meglio ancora, all’elaborazione rossellian- bobbiana Liberalsocialista, che in Italia ha avuto molti estimatori ma pochi seguaci.