La notizia era nell’aria e, probabilmente, attesa da più di qualcuno. Certo è che Antonio Socci non è più direttore della Scuola di giornalismo di Perugia, scuola di cui la Rai è socio fondatore e che vede tra i soci anche il Comune di Perugia, la Regione Umbria, l’università del capoluogo umbro, una fondazione bancaria. Il giornalista si sarebbe dimesso ma non sono pochi a ritenere che, in qualche modo, sarebbe stato indotto a farlo. Le dimissioni sono infatti legate al tweet ‘velenoso’ di Socci sul Papa, a cui sono seguite le scuse pubbliche a Bergoglio da parte dello stesso giornalista-scrittore che, tuttavia, devono essere arrivate fuori tempo massimo. Socci aveva attaccato Bergoglio scrivendo su Twitter: “Bergoglio corre in soccorso a Conte e si conferma il solito traditore asservito al potere”. Parole, queste, che subito avevano alzato polemiche e spinto il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Toscana ad annunciare l’intento di presentare un esposto al Consiglio di disciplina. Come detto lo stesso Socci era poi tornato sull’argomento scrivendo ancora su Twitter, ma questa volta dicendo “ho usato toni e parole sbagliate di cui mi scuso, anzitutto con Papa Bergoglio”.
ADIEU C’è da dire, peraltro, che non è la prima volta che il giornalista esprime il suo dissenso nei confronti del Pontefice. In questa circostanza, però, Socci ha ben pensato di condire la sua offesa (difficile e un po’ grottesco sostenere che “tradito asservito al potere” sia una mera critica…) col sovranismo, dato che la “colpa” di Bergoglio sarebbe stata quella di prendere le distanze dalla Cei che aveva criticato il governo Conte perché i vescovi avrebbe voluto che si tornasse immediatamente a dir messa, in spregio a qualsiasi esigenza di distanziamento sociale. La cosa non sarebbe andata giù non solo a Viale Mazzini ma anche alla Commissione Vigilanza Rai. Proprio su questo giornale il senatore pentastellato Primo Di Nicola, in un’intervista aveva sottolineato che “quelli di Socci sono giudizi irriguardosi, se non offensivi, peraltro non sostenuti da alcuna analisi, dei quali lui e l’azienda dovranno assumersi la responsabilità perché in gioco c’è l’immagine del Servizio Pubblico”. Perché se è vero che “la libertà di opinione, anche quella dei dipendenti Rai, è fondamentale”, è altrettanto vero che “vedere il Papa che esorta i fedeli a seguire le indicazioni dell’autorità pubblica contro il Covid, definito come un ‘traditore’, e trattato quasi come un servo del Governo è una sfida non solo al buon giornalismo ma anche alla ragione”.
ESITO INEVITABILE Le prime avvisaglie di polemiche si erano avute con l’intervento, sempre via Twitter, di Vittorio di Trapani, segretario dell’Usigrai, che nel commentare quanto scritto da Socci si chiedeva: “Questo è ciò che insegna con lo stipendio della Rai?”. Questa volta il Cda d’altronde difficilmente avrebbe potuto far finta di nulla considerando anche il caso del giornalista di RadioRai Fabio Sanfilippo, sospeso dopo aver insultato – sempre via social – l’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini.