Nascondono come possono le distanze tra loro, aiutati in questo dalle pugnalate che abbondano a sinistra, ma nel polo conservatore la tensione è alle stelle. La madre di tutti i guai è la leadership, ma la lotta per il potere si vede ovunque, e la partita dei governatori in Sicilia e Lombardia è solo uno dei nervi scoperti.
Silvio Berlusconi si è rimangiato la promessa di non candidarsi al Senato, dove potrebbe accomodarsi alla presidenza
Naturale immaginare quello che accadrà dal giorno dopo le elezioni, quando le geometrie del prossimo Parlamento potrebbero spingere a dividersi, com’è stato in più puntate della legislatura agli sgoccioli. Fatto sta che ieri Silvio Berlusconi si è rimangiato la promessa di non candidarsi al Senato, dove potrebbe accomodarsi alla presidenza, ottenendo la seconda carica dello Stato a “risarcimento” della prima rimasta a Mattarella.
Da qui la nuova apertura a Giorgia Meloni, sulla quale non ha messo veti per Palazzo Chigi, dove – ha detto – “si dimostrerà adeguata al difficile compito”, se il suo nome sarà il più votato. Nel programma si vedono però le differenze tra i partiti. E nella spartizione dei seggi, che procede lentamente anche per la necessità di accontentare i quattro centristi della squadra (Udc, NcI, CI e Iac).
Ma ormai, complici gli ultimi sondaggi, per FdI il rivale diretto è il Pd. Con lui va in scena l’ennesimo battibecco, stavolta sulla posizione internazionale. “Meloni sta cercando di cambiare immagine, di incipriarsi, ma mi sembra una posizione molto delicata, se i punti di riferimento sono Orban”, gli contesta il segretario dem. Lei tira dritto e ribadisce: “La posizione di FdI in politica estera è coerente ed estremamente chiara”.
E sembra inalberarsi: “Non accettiamo lezioni da chi si erge a paladino dell’atlantismo, ma poi stringe patti con la sinistra radicale nostalgica dell’Urss”. Nelle stesse ore gira on line il videomessaggio riservato alla stampa estera in cui – in inglese, francese e spagnolo – ribadisce la fedeltà all’atlantismo e rimarca la condanna del fascismo “senza ambiguità” fatta dalla destra italiana.
Polemiche a parte, la presidente di FdI va avanti con le sue idee, anche sul governo che verrà. E pur sostenendo un governo politico, in un’intervista a Panorama, apre a ministri tecnici: “Questo non ci impedirà di avvalerci, se necessario, di competenze che non vengono dalla politica di partito”. Al settimanale parla anche di flat tax ma, sulle modalità, prende le distanze da Matteo Salvini. Per il leghista, la tassa piatta resta al 15% e l’intento è di estenderla, con la stessa aliquota, ai lavoratori dipendenti e famiglie.
Più prudente FdI: “Meglio iniziare ad applicarla sui redditi incrementali, cioè sull’aumento del reddito rispetto all’anno precedente”, spiega Meloni e rinvia l’estensione a quando “si sarà innescato il meccanismo virtuoso”.
Vanno all’attacco i 5Stelle: “Lo potremmo chiamare il balletto del balzello. La destra da giorni parla di ‘flat tax’, l’aliquota piatta che vale per tutti. Ma da quelle parti non sembrano aver proprio le idee chiarissime e, come se fosse una televendita, partono le offerte”.
Berlusconi propone l’aliquota del 23% dell’Irpef per tutti. Salvini, che non vuol certo esser da meno, dice invece 15% ma solo per alcuni. Poi arriva la Meloni con la ‘flat tax incrementale’. “A questo punto aspettiamo solo che Giorgio Mastrota aggiunga una batteria di pentole ed è fatta”.