Alla Camera sono incardinate le nuove norme per la sicurezza, e tra queste spicca, con sacrosante e significative ripercussioni sulla vita di noi automobilisti, l’inasprimento delle sanzioni per chi guida usando lo smartphone. Che poi la vita il codice della strada mira proprio a tutelarla, quindi che sia per nobili scopi o per attività ludiche: poco cambia, il cellulare alla guida non è ammesso. La multa salata si colloca in un range che va da 422 fino a 1.697 euro, con la spada di Damocle per chi è al volante di una sospensione della patente fino a tre mesi.
Da Caivano alle multe stradali. Il fallimento annunciato delle politiche securitarie. La storia insegna che così non si è mai risolto nulla
Il dato interessante è che le fattispecie di reato con annesse ammende esistono già e non sono riuscite in questi anni a far diminuire incidenti e vittime della strada. Non si capisce poi bene perché a tal riguardo il governo si “svegli” oggi (meglio tardi che mai), dopo che appena a giugno scorso la maggioranza aveva votato contro gli emendamenti del Pd presentati in commissione Giustizia, che andavano proprio in questa direzione. Veniva chiesto di equiparare la guida con utilizzo di smartphone alla guida in stato di ebrezza, o sotto uso di sostanze stupefacenti.
La revisione draconiana delle pene costituisce idealmente un deterrente, ma all’atto pratico non restituisce alla persona ciò di chi pure avrebbe maggiore necessità: il senso del limite che fa il paio col senso di responsabilità. L’uso del telefono costituisce il comune denominatore di diversi casi di cronaca: dagli stupri di Palermo e Caivano (per citare due recenti fatti che hanno comprensibilmente generato enorme scalpore, l’ultimo ha dato il nome a un decreto governativo) al caso di chi sceglie di filmare dal proprio dispositivo un uomo in fiamme sul grande raccordo anulare così da immettere la scena sui propri social media, passando per chi – pur di farsi un selfie acchiappalike – cade da Ponte Milvio e finisce nel Tevere. Tutto accaduto nell’anno corrente.
La lista è ricca ed è chiara prova di come la realtà superi di gran lunga la fantasia. Quello stesso telefono equiparabile ad una vera e propria arma anche nei casi di cyberbullismo e revenge porn (ricordiamo sempre il drammatico suicidio di Tiziana Cantone) e che può trovare nell’interruzione della propria esistenza l’unica via di fuga da un dolore che non conosce differenza tra pubblico e privato.
Le sanzioni salate per chi guida parlando al cellulare c’erano già. Eppure questa abitudine non è finita
“Abbattendo i confini”, la rete ha la straordinaria capacità di interconnetterci con mondi lontanissimi con l’esiziale rischio di annullare il nostro. Perché i confini in realtà sono necessari per lo sviluppo della propria individualità e per una socialità che non sia disfunzionale, ma devono essere limiti introiettati (resi dunque propri, “interni”) e non recepiti come sideralmente lontani (imposti dall’autorità, senza che ne cogliamo profondamente il valore).
È evidente che ciò valga in modo particolare per chi è in età evolutiva, passaggio di vita in cui è ancor più facile confondere i piani del “reale” con il “virtuale” e non solo a livello psicologico, ma anche psichiatrico.
Il 98% dei ragazzi italiani fra i 14 e i 19 anni è in possesso di un telefonino sin da quando aveva 10 anni e il 50% trascorre dalle 3 alle 6 ore al giorno davanti allo schermo del cellulare.
Dati da brivido che fotografano la dipendenza da device nel 2023 tra i nostri giovani e che ci portano a riflettere sul destino di questi futuri cittadini, forse anche di questi futuri automobilisti. L’inasprimento del codice della strada, il decreto Caivano, il decreto rave, così come più genericamente la politica proibizionista e securitaria sono spesso delle misure spot se non accompagnate da una rivoluzione culturale che investa innanzitutto i giovanissimi e – insieme a loro – coinvolga virtuosamente gli adulti e le famiglie. Proprio laddove c’è necessità di intervenire con campagne di sensibilizzazione mirate ed efficaci, un po’ come accade per il contrasto alla violenza di genere, spesso c’è invarianza finanziaria. Ovvero, si spera di risolvere i problemi con le pene senza che vi sia un concreto investimento nella risoluzione delle criticità affrontandole “alla radice”.
Non si tratta di una visione paternalista dello Stato, al contrario c’è bisogno di fornire ai cittadini quegli strumenti culturali così che siano in grado di scegliere liberamente come agire nella consapevolezza dei rischi che corrono per la propria vita e per quella degli altri, non di certo perché costretti a pagare qualche centinaio di euro in più.