di Vittorio Pezzuto
Le strade appaiono sgombre di volantini ciancicati, i tergicristalli non trattengono molesti santini, pochi manifesti si tengono appesi con rassegnazione negli spazi previsti (una volta tanto), nessuna eco di comizi monocorde infastidisce i passanti. I ballottaggi delle amministrative si stanno rivelando un’impalpabile pioggia di proposte che mette tristezza. Se famigli e ultrà andranno a votare per inerzia, quasi tutti gli altri rinunceranno volentieri al pellegrinaggio nella sezione elettorale costringendo gli scrutatori a bighellonare inoperosi nei corridoi. Ancora poche ore e questa pratica verrà archiviata con le infografiche dei Tg e alcuni fiacchi dibattiti tra politici di second’ordine. Altro non è possibile attendersi ai tempi del grande inciucio, capolinea della passione politica. E dire che due settimane or sono i grandi giornali volevano spiegarci a tutti i costi (compreso quello del ridicolo) come il voto al primo turno, disertato dalla metà degli elettori, sia stato il benvenuto popolare alle larghe intese. Una barzelletta incredibile ma ben confezionata.
La partita forse più scontata è quella che si è giocata nella capitale: un derby senza dribbling e contropiedi, incapace di appassionare gli stessi tifosi. Sostenuto con diffidenza dal suo partito, il foresto e forastico Ignazio Marino non è riuscito a scaldare i cuori dei suoi sostenitori, che si apprestano comunque a festeggiare la vittoria di uno dei pochi parlamentari piddini a non aver votato la fiducia a Enrico Letta. Per comprendere le ragioni della possibile sconfitta del sindaco Gianni Alemanno sarà invece utile rivedere l’ultimo minuto del film “Il candidato” di Michael Ritchie. Quello in cui Robert Redford, che interpreta un avvocato che contro tutte le previsioni ha appena vinto le elezioni per il Senato, si riunisce con lo staff nei bagni del suo comitato elettorale chiedendosi angosciato: «E adesso che faccio?». Che è grosso modo quanto deve aver detto nel 2008 l’ex ministro dell’Agricoltura quando a sorpresa prevalse su Francesco Rutelli, bolso cavallo di ritorno del centrosinistra. Ad affossare il bilancio del suo quinquennio sono stati i suoi più stretti collaboratori: seconde e terza file di An che hanno dato parecchio lavoro alla magistratura capitolina e che quasi mai si sono rivelati all’altezza della sfida di governo.
Costretto a una difficile rimonta, Alemanno sa che gli astenuti del centrodestra saranno decisivi e i suoi appelli al voto contengono in sé tanto il presagio della debacle quanto l’amaro retrogusto per una storica occasione mancata. Come andrà a finire lo hanno già capito i romani, che duemila anni di storia hanno educato al feroce cinismo: «A sto giro ce tocca sceglie tra peggio e mannaggia» ci è capitato di sentire all’indomani del confronto su Sky tra i due sfidanti.
A Roma come quasi ovunque resta fuoricampo l’armata Brancaleone grillina, sedotta dalla poesia dell’inebriante vittoria alle politiche ma adesso costretta a misurarsi – in Parlamento come negli Enti locali – con una difficile prosa fatta di proposte di legge, voti in commissione e delibere. Li attendono anni difficili, se invece di farsi le ossa con un’attività puntuale e concreta continueranno a passare il tempo scagliandosi contro a vicenda minacce di espulsioni e liste di proscrizione. Poi certo, ci sarà da registrare nel Paese l’evaporazione di Scelta Civica, il capitombolo fragoroso del centrodestra nella sua ex roccaforte di Imperia e l’avvicendamento in casa piddina alla guida del Comune di Siena. Ma si tratta di risultati già metabolizzati dall’opinione pubblica, che nulla sembra attendersi dai ballottaggi.
Si rassegnerebbe anche Ennio Flaiano, che decenni or sono ebbe a scrivere che «a causa del cattivo tempo, la Rivoluzione è rinviata a data da destinarsi». Non succederà nulla anche stavolta, nonostante le previsioni meteo annuncino bel tempo per domenica e lunedì prossimi.