A furia di tirare lo strappo istituzionale c’è stato. Matteo Salvini non è la prima volta che forza la mano al Viminale, con direttive che si muovono sul filo del diritto, ma questa volta ha “sconfinato”. Eppure i suoi alleati di Governo lo avevano avvertito, invitandolo alla moderazione. Sul banco degli imputati c’è la direttiva con cui il ministro dell’Interno si propone di stoppare i soccorsi fatti dalle Ong con navi italiane. Come nel caso della Mare Jonio salpata domenica scorsa da Marsala. In tale direttiva si danno indicazioni alle forze di polizia e ai capi di Marina e Guardia costiera di “vigilare” affinché il comandante e la proprietà della nave in questione “non reiterino condotte in contrasto con la vigente normativa nazionale e internazionale in materia di soccorso in mare, di immigrazione, nonché con le istruzioni di coordinamento delle competenti autorità”.
L’“intimazione”, così si chiama il documento inviato dal Viminale e firmato da Salvini, ha come destinatari non solo tutte le forze dell’ordine, ma anche il capo di Stato maggiore della Marina, Walter Girardelli, e il capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Enzo Vecciarelli. Il quale non avrebbe gradito l’ingerenza dal momento che i vertici militari rispondono al ministro della Difesa e al capo dello Stato, che è il capo Supremo delle Forze Armate. Nel pomeriggio il premier Giuseppe Conte ha avuto un colloquio con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ma, a quanto pare, non si è parlato della direttiva. Non al momento almeno.
Salvini, nel frattempo, si difende: “Siamo tranquillissimi – dice – perché il Viminale è la massima autorità per la sicurezza interna. Quindi la direttiva sui porti è doverosa, oltre che legittima, a fronte di un pericolo imminente”. Fonti del ministero dell’Interno sottolineano che all’articolo 12 del testo unico sull’immigrazione è previsto che le navi della Marina Militare “possono essere utilizzate” per “concorrere alle attività di polizia in mare”. La stessa legge sull’immigrazione, d’altronde, all’articolo 11, attribuisce proprio al ministro dell’Interno la responsabilità di emanare “le misure necessarie per il coordinamento unificato dei controlli sulla frontiera marittima e terrestre italiana”.
All’origine di questa nuova offensiva c’è il tentativo di Salvini di rifare il look alla teoria dei porti chiusi. Forte dell’incontro con il numero due di Sarraj, Ahmed Maitig, il vicepremier coglie al balzo le parole di Conte sul rischio di foreign fighters e avverte: “Ci sono 500 terroristi detenuti nelle carceri libiche, non vorremmo che arrivassero via mare. In Italia non si aprono i porti, la linea non cambia”. Lo spauracchio che ora agita è quello del terrorismo. Ovvero la teoria, secondo cui chi è pronto a scappare da un eventuale conflitto in Libia non debba necessariamente essere considerato un rifugiato, fa un salto di qualità. Ora chi è pronto a fare rotta verso le nostre coste diventa un potenziale terrorista.
Ma il vicepremier Luigi Di Maio, a prescindere dalle tensioni Viminale-Difesa, da Dubai ha già bocciato la mossa del collega: “Se veramente abbiamo il problema di 800mila migranti in Italia, di certo non li fermi con una direttiva. Se vogliamo aiutare l’Italia molliamo quei paesi che ci fanno la guerra sui migranti invece di allearci con loro”. Il capo politico M5S si riferisce agli alleati della Lega “da Orban in giù”. Sui porti a rincarare la dose è anche il premier Conte, secondo cui la politica migratoria italiana è questione “molto più complessa” che non “si è mai ridotta” al giochetto porti aperti-porti chiusi. Quella è “una semplificazione bellissima per il grande pubblico”.