Il timing della Giunta aiuta il Movimento e il suo capo politico Luigi Di Maio a trovare una soluzione che non metta in difficoltà il Governo e allo stesso tempo non intacchi i già delicati equilibri interni al Movimento cinque stelle: la prossima settimana (entro sette giorni dalla prima riunione della Giunta) Matteo Salvini illustrerà la sue ragioni, poi l’organismo dovrà decidere entro il 23 febbraio e quindi, ci sarà l’approdo in Aula. Tempi lunghi, dunque. E la certezza che alla fine il Movimento sarebbe stato fedele alla linea del sì all’autorizzazione a procedere per non intaccare l’azione della magistratura non è più così certa.
Ora prevale la prudenza ma c’è chi mette i puntini sulle i sostenendo che “qui non si tratta di un ministro che ha rubato o ha corrotto qualcuno”, si tratta di un ministro “che ha portato avanti la linea del Governo”. Il fronte di coloro che ritiene, però, che bisogna preservare la natura pentastellata continua a crescere e ad arricchirsi di “adepti”. L’ala facente capo al presidente della Camera, Roberto Fico, è sicura del punto: non bisogna cedere perché l’indipendenza dei poteri è un principio cardine dell’anima movimentista del Movimento, come d’altronde ribadito anche da Alessandro Di Battista due giorni fa a Porta a Porta.
“Ma Dibba non vota, è facile parlare”, si ribatte nei corridoi di Montecitorio a chi fa osservare quanto detto dall’ex deputato. Certo è che i dissidenti del decreto Sicurezza – l’ex Gregorio De Falco, Elena Fattori, Paola Nugnes e Matteo Mantero – non fanno mistero del fatto che, se l’autorizzazione dovesse arrivare in Aula, non avrebbero dubbi a votare per il sì all’autorizzazione. E le dichiarazioni di un esponente di peso del Movimento come Carlo Sibilia non hanno fatto altro che ingrossare le file di chi ritiene che il Movimento non possa svendersi. Esattamente come detto anche da Roberta Lombardi: “A uscirne perdente sarà il M5s se voterà contro l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini abdicando così ai suoi valori identitari”, ha scritto sul suo blog su HuffPost.
La confusione d’altronde è testimoniata anche da altre prese di posizione: “Male non fare, paura non avere”, scrive ad esempio su Twitter il senatore Nicola Morra. Più esplicito su Facebook è invece Luigi Gallo, presidente della commissione cultura M5s alla Camera: “Salvini deve essere processato perché la legge è uguale per tutti – scrive Gallo – . Siamo stati e saremo sempre contro i privilegi della Casta”. Insomma, il Movimento anti-casta non vuole cedere sulla strada della RealPolitik.
Per varie ragioni: innanzitutto significherebbe svendere i propri principi e significherebbe svenderli alla Lega che non è solo alleata di Governo, ma anche (e paradossalmente) principale rivale in vista delle elezioni europee: lo zoccolo duro dell’elettorato pentastellato potrebbe non capire. C’è chi dice, poi, che il passo indietro dopo aver annunciato il sì all’autorizzazione a procedere esporrebbe il Movimento a facile e legittime critiche di tutti coloro che, tra politica e media, non aspettano altro che i pentastellati facciano passi falsi.
È su queste basi che il fronte del sì si starebbe allargando, nonostante (leggi articolo a lato) la linea ufficiale sia quella di temporeggiare in vista di un eccezionale dietrofront in Giunta di modo da bloccare la partita prima che si arrivi in Aula. “E se ci dovessimo trovare altri casi in Giunta, come ci comporteremmo?”, è la domanda che circola tra tanti onorevoli. Una domanda legittima. Da cui il Movimento ha intenzione di liberarsi con l’alibi “tecnica” dell’atto politico che è altra cosa rispetto a furberie e corruzione. Un alibi che, a onor del vero, ha una sua profonda legittimità.