Ha per certi versi del clamoroso l’intervento, ieri in Aula al Senato, di Matteo Renzi sulla riforma della Giustizia vergata dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia. Una riforma “che voteremo con convinzione”, ha detto l’ex premier. Perché “è un ottimo primo passo, che ci toglie dalla riforma Bonafede che doveva abolire la prescrizione e ha prodotto la prescrizione della riforma, e ci porta verso sfide nuove. Ma questa situazione viene a collocarsi nel momento più tragico della storia del potere giudiziario della vita Repubblicana”. Un intervento molto critico, quello di Renzi che, al di là dei convenevoli di rito, definisce come un “primo passo” una riforma voluta da un ministro che fa parte del governo Draghi, sponsorizzato e voluto dallo stesso Renzi.
Un preambolo che anticipa il piatto forte: “Tanti di noi hanno rinunciato al gusto della verità per la paura. Perché per anni abbiamo consentito di lasciare non a dei singoli magistrati ma alla subalternità della politica, il fatto che fossero i pm a decidere chi poteva far carriera politica e chi no, perché abbiamo detto che un avviso di garanzia costituiva una sentenza di condanna”. Tuonando contro “lo strapotere vergognoso delle correnti della magistratura: devi fare carriera se sei bravo non se sei iscritto ad una corrente”. Eppure a guidare quel coacervo di correnti che è il Csm, si sono alternati, nel ruolo di vice presidente, il dem Giovanni Legnini, eletto nel 2014 con Renzi segretario del Pd, passando direttamente dalla poltrona di sottosegretario allo scranno più alto di Palazzo de’ Marescialli.
E poi, nel 2018, un (allora) renziano doc come David Ermini, tuttora in carica. Senza contare il fedelissimo Cosimo Ferri, magistrato in aspettativa e deputato in carica di Italia Viva, già segretario generale di Magistratura Indipendente, una delle correnti più importanti delle toghe. Sul quale, peraltro, pende un procedimento disciplinare proprio al Csm (leggi l’articolo): se ne sta occupando la giunta delle autorizzazioni alla Camera che dovrà pronunciarsi sull’utilizzabilità delle intercettazioni relative all’incontro con l’ex ministro Luca Lotti e l’ex pm Luca Palamara, ritrovatisi all’Hotel Champagne di Roma per parlare proprio di nomine. Secondo quelle logiche correntizie contro cui ieri Renzi ha usato parole di fuoco.
NOVELLO SILVIO. Poi c’è il dato politico che emerge dall’intemerata di Renzi. Che lo candida ormai apertamente alla corsa per raccogliere l’eredità di Silvio Berlusconi. L’approdo naturale del Renzi uomo di destra che si è infiltrato a suo tempo nel Partito democratico alterandolo e snaturandolo profondamente. Riuscito, con l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nell’impresa che la destra aveva fallito. E poi, non ancora segretario e primo ministro, era andato volentieri in pellegrinaggio ad Arcore a desinare con l’ex Cavaliere destando scalpore. Il senatore toscano è un decisionista tipicamente di destra, con una concezione della democrazia molto ristretta al di là dei proclami “liberal”.
Tutte le sue vicende politiche lo dimostrano e la sua fuoriuscita dal Pd a destra e la sua congiura contro il governo giallorosso di Giuseppe Conte è una vera e propria “pistola fumante”. Il progetto di Renzi è evidentemente quello di sostituire Berlusconi costruendo un’area moderata di centrodestra, una Forza Italia Viva per presentarsi nel 2023 (o prima) come terzo membro del triumvirato con Salvini e la Meloni. Sempre che il suo 2% nei sondaggi non finisca per tradirlo.