Continua la tarantella di Vittorio Sgarbi sulle sue dimissioni. “Mi dimetto”. “Anzi, no, non mi dimetto”. “Faccio ricorso al Tar”. “Anzi no, nessun ricorso al Tar, mi dimetterò”. Le mie dimissioni “non sono formalizzate. Sono nel mio ufficio e lo sono fino al ritorno della Meloni. Ho dichiarato e lo ripeto che ho dato le mie dimissioni, poi ho fatto una questione di ordine giuridico e anche garantistico. L’appello al Tar non lo farò, Meloni ha detto ‘accetto le dimissioni’, vuol dire che io le do. Domani (oggi, ndr) quando torna gliele porto”, è questa l’ultima versione che affida a Metropolis su Repubblica.it il sottosegretario alla Cultura.
Tira e molla del sottosegretario Vittorio Sgarbi. Oggi incontrerà Meloni a Palazzo Chigi per il passo indietro
“Non ha senso fare ricorso al Tar. Se finisce la mia funzione, il Tar cosa mi deve restituire? L’onore?”, spiega il critico d’arte. “Se avessi il tempo, come è capitato con il caso Montaruli, di un percorso che arriva a una delibera o sentenza definitiva, allora vorrebbe dire che Meloni mi consente di rimanere fino a che il Tar non ha dato la sua sentenza. Ma siccome questo è un tempo troppo lungo e imprevedibile, è bene che politicamente l’esperienza finisca, come io voglio, e quindi non ha senso fare ricorso al Tar”, ha proseguito. Eppure proprio sul Corriere della Sera ieri mattina aveva dato un’altra versione, quella dell’autosospensione.
“L’ho detto e lo confermo, aspetto di consegnare” le dimissioni “nelle mani di Giorgia Meloni. Però sia ben chiaro una cosa. Non mi dimetto per il parere dell’Antitrust che è antinomico e contraddittorio. Per adesso comunque è più preciso dire che mi autosospendo”, aveva detto, spiegando di aspettare il giudizio del Tar. Sebbene “qualsiasi sia l’esito, le dimissioni non le revoco”. E allora perché il ricorso? “ Perché voglio avere ragione”. E il sottosegretario dimissionario si diceva convinto che avrebbe avuto ragione perché “il pronunciamento dell’Antitrust è contraddittorio. Perché prima, in un documento del 16 maggio, dice che la mia carica è compatibile con le mie diciannove tra attività e funzioni. Poi cambia idea e le trova incompatibili”.
La premier ha detto che ha accolto le dimissioni perché aveva dati oggettivi. “Ha ragione. Del resto l’Antitrust ha fatto una scelta politica proprio per questo – concludeva -, ha voluto sollevare Giorgia Meloni dal dover scegliere sulla mia posizione”. Poi, nella serata di ieri, appunto la giravolta con la decisione di non fare più ricorso al Tar, sebbene abbia continuato a insistere che la delibera dell’Agcm sia “profondamente sbagliata”.
Altra dose di insulti al ministro Sangiuliano, accusato dal critico d’arte di essere incompetente
L’unico punto sul quale al momento non pare cambiare idea è l’odio verso il ministro della Cultura. Sangiiuliano, dice, “ha firmato le lettere anonime. Moralmente ha firmato le lettere anonime” contro di me inviate all’Antitrust. “Soffro per essermene andato perché lascio un ministero orfano, senza nessuno che abbia coscienza di quello di cui si deve occupare, a partire dal ministro”. E ancora: “Oltre a perdere io, perde anche lo Stato, non avendo una persona competente dentro al ministero per i Beni culturali”, ha concluso. E se il Pd ha ricordato come una “situazione del genere non sia mai accaduta prima” e di come le istituzioni siano state gettate “nel ridicolo e nell’imbarazzo”, il M5S ha proposto una via d’uscita a Meloni: il centrodestra voti la mozione delle opposizioni contro Sgarbi fissata in Aula alla Camera il 15 febbraio.
Ma Sgarbi, isolato nel governo, ha il suo seguito di fan benché bizzarri e dal linguaggio colorito. “Sono pronto a candidare Sgarbi in Europa”, è stata la proposta arrivata dal sindaco di Terni, Stefano Bandecchi intervistato dal Fatto Quotidiano, a cui ha spiegato che vorrebbe candidare il sottosegretario dimissionario nel suo partito Alternativa Popolare.