Sfasciare per comandare, le picconate di Salvini per preparare il Congresso

Il leader leghista tra colpi di piccone al governo e una Lega sempre più sua, mentre Meloni e Tajani osservano in silenzio

Sfasciare per comandare, le picconate di Salvini per preparare il Congresso

Matteo Salvini si muove come sempre: una strategia fatta di picconate quotidiane, messaggi in codice ai suoi e avvertimenti agli alleati. Questa volta, nel mirino c’è il governo stesso. Non per farlo cadere, ma per logorarlo abbastanza da restare il padrone della scena. Non è una novità: il leader della Lega ha costruito la sua carriera sulla demolizione sistematica di tutto ciò che lo circonda, M5S compreso ai tempi del Papeete. Ora tocca a Giorgia Meloni e, in seconda battuta, a Forza Italia di Antonio Tajani. L’obiettivo? Restituire alla Lega quel ruolo da protagonista che il successo di Fratelli d’Italia le ha strappato.

Occupy Bruxelles, ma anche Roma

La parola d’ordine di Salvini è “Occupy Bruxelles”, lo slogan scelto per galvanizzare la base leghista in vista delle elezioni europee. Ma la vera occupazione è interna: quella del governo e del partito. Con il congresso della Lega alle porte e una rielezione scontata, il leader leghista punta a blindare la sua posizione. Per farlo, si affida ai fedelissimi: Claudio Durigon, Armando Siri, Alberto Bagnai e Claudio Borghi. Sono loro a dettare la nuova linea: rilancio dei temi storici della Lega, attacco alla Commissione europea, protezione delle pensioni e rottamazione delle cartelle fiscali. Un’agenda che suona più da campagna elettorale che da governo.

L’ultima provocazione viene da Durigon, che ha pubblicamente dichiarato che Tajani si trova in una posizione “difficile” per la sua vicinanza alla Commissione europea e che dovrebbe “farsi aiutare” dalla Lega. Tajani ha risposto con un’alzata di spalle e un attacco ai “populisti quaquaraquà”. Ma il segnale è chiaro: Salvini sta cercando di erodere Forza Italia dall’interno.

L’ombra del trumpismo e la sfida a Meloni

Salvini sente che è il suo momento. Il vento trumpiano, i successi della destra radicale in Europa – dal Rassemblement National in Francia ad AfD in Germania – lo convincono che è ora di battere cassa. Non a caso, ha intensificato i rapporti con gli Usa, elogiando il vice di Trump, J.D. Vance, e cercando di accreditarsi come il vero interlocutore americano in Italia. Giorgia Meloni, che ha sempre cercato di mantenere un profilo istituzionale, non può ignorarlo. Dopo essersi sfogata con Giancarlo Giorgetti, ha scelto il silenzio. Ma non per molto.

Intanto, Salvini continua la sua battaglia di logoramento. Si riappropria dei temi identitari della Lega, attacca il piano di riarmo europeo, difende Israele a spada tratta e torna a martellare sulla sicurezza e sull’immigrazione. La mossa successiva potrebbe essere il ritorno al Viminale, una possibilità che aleggia in caso di candidatura di Matteo Piantedosi alle elezioni regionali in Campania. Un passo che rimetterebbe Salvini al centro dell’azione di governo e darebbe alla Lega un ruolo strategico.

La resa dei conti nel partito

Se Meloni osserva e aspetta, dentro la Lega c’è chi ha già perso la partita. I governatori del Nord – Luca Zaia, Attilio Fontana e Massimiliano Fedriga – non hanno osato sfidare Salvini al congresso. Lo stesso vale per i capigruppo Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari. Troppe parole e pochi fatti. Salvini, dal canto suo, li ha sfidati apertamente: “Se non siete d’accordo, candidatevi”. Nessuno lo ha fatto. Un fallimento che li renderà irrilevanti a lungo.

Per suggellare la vittoria, Salvini potrebbe giocare un’ultima carta: nominare vice segretario Roberto Vannacci, il generale divenuto simbolo dell’ultradestra sovranista. Non è ancora iscritto alla Lega, ma potrebbe diventarlo in tempo per il congresso. Una mossa che manderebbe un messaggio chiaro: la Lega è sempre più radicale, sempre più salviniana.

Salvini contro tutti, ancora una volta

La storia si ripete. Salvini ha sempre giocato così: destabilizzare per restare in sella. Ma questa volta la partita è più rischiosa. Meloni non è Giuseppe Conte, non ha intenzione di farsi logorare senza reagire. Tajani, pur debole, ha ancora un partito e un ruolo chiave nel governo. E il vento che soffia dalla Casa Bianca potrebbe cambiare direzione. Salvini ha scelto la strategia del piccone. Resta da vedere se finirà per colpire gli altri o se stesso.