Cosa Nostra è in pieno fermento. E ha uno Statuto scritto dai padri costituenti. A scoprirlo è stata la procura di Palermo tramite le intercettazioni raccolte durante l’ultima indagine effettuata. Sfruttando lo strumento investigativo tanto contestato dal Centrodestra, gli inquirenti hanno inflitto ancora una volta un duro colpo ai clan. Sette arresti sono stati condotti all’alba di martedì 24 gennaio tra le città di Palermo, Riesi e Rimini dai militari del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando provinciale del capoluogo siciliano, guidati dal tenente colonnello Salvatore Di Gesare e coordinati dai pm Federica La Chioma e Dario Scaletta, appena eletto membro togato del Csm. Gli arresti hanno travolto la famiglia di Rocca Mezzomonreale, affiliata al mandamento di Pagliarelli, lo stesso al quale afferiva Giuseppe Calvaruso. Il boss era prossimo alla scarcerazione per effetto della disastrosa legge Cartabia.
Le misure cautelari, emesse dal gip su richiesta della Dda, hanno previsto il trasferimento in carcere di cinque soggetti mentre altri due sono ai domiciliari. Gli indagati sono stati accusati di reati di associazione di tipo mafioso ed estorsioni, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività mafiosa e di essersi avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva. Svelata, poi, l’esistenza di uomini d’onore riservati rimasti ad oggi del tutto estranei alle cronache giudiziarie che, pur dimostrando piena adesione al codice mafioso di Cosa Nostra, godrebbero di una speciale tutela e verrebbero contattati solo nei momenti di maggiore criticità.
“I mafiosi non parlano a telefono”. Ma rivelano l’esistenza dello Statuto di Cosa Nostra. Ancora una figuraccia per Nordio
Al di là degli arresti, la novità investigativa riguarda lo Statuto di cui si è appreso tramite le intercettazioni. Proprio queste, disposte dalla procura distrettuale antimafia di Palermo diretta dal procuratore capo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido (gli stessi che hanno posto fine alla trentennale latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro), si sono infine rivelate cruciali. Meno male che Carlo Nordio, giusto qualche settimana fa, inveiva contro lo strumento investigativo da demonizzare e abolire, tuonando che “i veri mafiosi non parlano al telefono”. Eppure il duro colpo inferto al mandamento di Pagliarelli dimostra il contrario. E, dopo la figuraccia già fatta con l’arresto di Messina Denaro, arriva l’ennesima smentita per il Guardasigilli. Le contraddizioni che si celano nelle dichiarazioni di Nordio appaiono in tutta la loro evidenza e sono state fatte a pezzi dalle opposizioni e, soprattutto, dai parlamentari del Movimento 5 Stelle.
L’operazione antimafia condotta a Palermo si è incentrata sul clan dei Badagliacca, parte integrante del mandamento di Pagliarelli. Proprio i Badagliacca hanno fatto riferimento al documento mentre erano riuniti in una casa di Butera, in provincia di Caltanissetta, per non essere ascoltati. Ma le cimici piazzate dagli investigatori hanno registrato ogni parola dell’incontro. In questo contesto, nel ribadire il suo ruolo di capofamiglia, Pietro Badagliacca ha detto al nipote Gioacchino “che sebbene tutti gli associati fossero la stessa cosa, esisteva comunque nell’organizzazione una struttura gerarchica che andava rispettata”. Subito dopo, è stata pronunciata la fatidica frase: “C’è lo statuto che hanno scritto i padri costituenti”. Nessuno, durante il summit a Butera per dirimere alcune controverse interne alla famiglia, sospettava di essere ascoltato dai carabinieri. Così le autorità hanno appreso una “rivelazione dalla portata investigativa deflagrante”, come ha scritto il gip di Palermo Lirio Conti. “Si faceva, infatti, riferimento all’esistenza di un documento scritto, un vero e proprio statuto dell’organizzazione, in cui sarebbero stati annotati dai padri costituenti di Cosa nostra, i principi e le regole cardine dell’organizzazione, rimasti evidentemente invariati nel corso degli anni e, a tutt’oggi, ancora imprescindibili ed essenziali per la sopravvivenza stessa della struttura criminale nel suo complesso”, ha sottolineato il gip.
Cosa Nostra condanna la strategia stagista di Riina
Nelle intercettazioni, inoltre, si sentono i boss mafiosi condannare con durezza la strategia stragista messa in atto a suo tempo da Totò Riina. “Niente cose infami, ma perché pure tutte queste bombe tutti questi giudici… ma che cosa sono?”, ha detto Gioacchino Badagliacca ai suoi fedelissimi in riferimento alla decisione di assassinare i familiari del pentito Tommaso Buscetta ancor prima che cominciasse a collaborare con la giustizia. Le stesse critiche sono state espresse anche verso l’ex boss Giovanni Brusca. “Una scoppettata nelle corna gli dovrebbero dare”, hanno detto contestando il terrore scatenato dai corleonesi e la propensione ad attaccare lo Stato. Per il padrino intercettato, Riina e i suoi “pensavano solo a riempire il portafoglio”. “Non si interessavano a niente: non è che loro amavano la cosa”, ha aggiunto. “Perché uno che la ama, fa le cose per non distruggerla, per tenera. C’erano buoni rapporti con lo Stato. Non si toccavano”. “Anzi si allisciavano”, ha confermato l’interlocutore del boss.
Le indagini, poi, hanno consentito di impedire un omicidio: l’ordine di morte era stato emesso nei confronti di un architetto che, secondo il boss mafiosi, aveva commesso troppi errori nella gestione della pratica amministrativa relativa alla regolarizzazione di un immobile. Nel corso dell’inchiesta, gli investigatori hanno ricostruito svariate estorsioni a imprenditori e commercianti: gli incassi alimentavano le entrate della famiglia. Per costringere le persone a pagare, venivano usati metodi differenti. In un caso, ad esempio, alla vittima venne recapitata una bambola con un proiettile conficcato in fronte, lasciata nei pressi del cancello di casa.
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