Ammettiamolo: la decisione del governo Draghi di occuparsi, in questa fase storica per il Paese, della sessualità dei detenuti, con l’annessa destinazione di ingenti risorse finanziarie, ha fatto sobbalzare sulla sedia anche il più brillante tifoso del “ce lo chiede l’Europa”.
Sesso in carcere, i 28 milioni stanziati dal Governo fanno discutere. Proprio ora che l’Italia è in bolletta
Così, quando dai dicasteri della Giustizia e dell’Economia e Finanze è stato congiuntamente sbloccato lo stanziamento di ben 28,3 milioni di euro a sostegno della causa, in ordine sparso sono balenati anche nella mia mente: la guerra in Ucraina, le bollette di luce e gas, le famiglie italiane sempre più povere, le imminenti e insostenibili scadenze fiscali. E c’è anche molto altro, lo so.
I tempi in politica non sono certamente irrilevanti e la stessa identica misura adottata in un tempo “x” anziché “y” può essere recepita in maniera completamente diversa.
Non si fatica dunque a comprendere l’irritazione che hanno provato in molti una volta appresa la notizia di questo gesto atteso dalla popolazione carceraria, ma probabilmente non in cima alla lista delle priorità tra le cose da fare in questo particolare momento. Ma proviamo a entrare nel merito e a fare un minimo di chiarezza sul tema, partendo dall’articolo 32 della nostra Costituzione, a cui il testo oggi in Commissione Giustizia al Senato si richiama esplicitamente, e che abbiamo imparato a conoscere durante la pandemia, sancendo questo il diritto alla salute e garantendone il mantenimento.
Cosa c’entra qui il sesso? Ribattezzato con la più generica espressione di “relazione affettiva” è decisivo per la salute psico-fisica della persona che ne uscirebbe compromessa da periodi di prolungata astinenza. Processi chimici che inducendo la fisiologica secrezione dei cosiddetti “ormoni del benessere” genererebbero condizioni favorevoli anche ad una buona condotta del detenuto, mentre è più improbabile che chi è appagato e sereno adotti comportamenti lesivi per se stesso e per gli altri.
Se il provvedimento in via di approvazione diventasse legge, numerosi sarebbero gli spazi da convertire, molti altri da creare ex novo, affinché vi siano i cosiddetti “moduli abitativi” in cui un massimo di tre detenuti a volta possa occuparsi della propria salute in compagnia del/la partner stabile (marito/moglie; fidanzato/fidanzata), ma anche occasionale.
Questo per liberare il campo da qualsiasi moralismo, o retaggio culturale che faccia coincidere la sessualità con l’amore. Viene infatti da chiedersi perché si sia adottata nel testo del provvedimento l’espressione “relazione affettiva”? O forse si intende dire che l’affetto è verso se stessi? Un “mi voglio bene” che porta ad occuparsi di sfere tanto importanti della propria vita.
Occorre inoltre capire cosa facciano gli agenti penitenziari se non – come si sono definiti loro stessi – i “guardoni di Stato”, mentre i detenuti che non godono di permessi premio (a loro infatti è destinata la misura) sono intenti nelle loro attività. Le carceri italiane non versano in buone condizioni e viene da chiedersi perché non occuparsi di altre criticità che caratterizzando la quotidianità tanto dei reclusi quanto di coloro che all’interno di quegli stessi spazi svolgono il proprio lavoro, speso pagati una miseria.
Ma, affinché vi sia un ulteriore supplemento di riflessione, lancio qui una provocazione. Premesso che per la salute di una persona non basta fare del sesso, ma è necessario farne di buono, e ricordando come questa dimensione risponda alla totale e insindacabile libertà individuale, come ci si comporterà con quel detenuto che, ipotizziamo, dichiari di avere due amiche con cui coltiva una simultanea “relazione affettiva”? Rapporti a tre nei moduli abitativi? Più siamo e più ci si ama?
Forse sarà bene ricordare loro che chi si accontenta gode, anche se a guardarsi attorno – e non solo nelle carceri – di scontenti ce ne sono davvero parecchi. Per ben altri motivi e ben più seri.