Per Francesco Rocca, candidato presidente del centrodestra alla Regione Lazio, i soldi non bastano mai. Come raccontanto da La Notizia, chiese, secondo quanto dichiarato dal prefetto Franco Gabrielli nel processo sul Mondo di Mezzo, una cifra spropositata per la gestione del Cara di Roma.
Un appalto quello del centro immigrati gestito dal raggruppamento temporaneo di imprese che oltre a comprendere la Croce Rossa Italiana – al cui vertice sedeva lo stesso Rocca – aveva al suo interno anche la Cascina Global Service Srl finita nell’inchiesta della Procura di Roma. Una gara che l’autoritá Anticorruzione ritenne acquisita in modo illecito per gli accordi corruttivi emersi nell’ordinanza di custodia cautelare del Mondo di Mezzo che dimostravano “in maniera incontrovertibile da una pluralità di intercettazioni ambientali l’alterazione della gara in corso per favorirne l’aggiudicazione al raggruppamento”.
La Croce Rossa con a capo Rocca fu al centro di polemiche dopo aver vinto un appalto da 4,2 milioni di euro l’anno per il servizio ambulanze a Latina
Ma anche qualche anno prima, nel 2005 a Latina, la Croce Rossa con a capo Rocca fu di nuovo al centro di polemiche e atti giudiziari dopo aver vinto un appalto da 4,2 milioni di euro l’anno per il servizio ambulanze. Un accordo buttato all’aria dal comitato Cri di Latina perché contrario alla riconferma dei lavoratori ritenuta non possibile con meno di 5 milioni. Così Rocca tentò di risparmiare cercando di non riconfermare i 50 dipendenti.
Il candidato del centrodestra infatti ritenendo la cifra dell’appalto troppo bassa invece di ritirare la Cri alla gara, decise di sostituire i lavoratori con dei volontari ma la Cgil, dopo un vero e proprio assedio, bloccò l’operazione che avrebbe danneggiato economicamente 50 famiglie.
“Voglio ribadire che quando la Croce Rossa nel 2005 prese l’appalto delle ambulanze a Latina fu una doccia fredda perché il presidente Rocca disse subito che non c’erano le condizioni per riconfermare i lavoratori, ma avrebbe preso dei volontari in sostituzione – racconta il sindacalista della Cgil Franco Meschino -. Così i 50 lavoratori sarebbero rimasti senza lavoro”.
Ma quale fu la risposta del sindacato? “Per molti giorni presidiammo la sede della Croce Rossa di Roma e l’avvocato Rocca solo molto dopo si decise a riceverci – prosegue Meschino -. Nell’incontro disse che i soldi non bastavano ma perché allora hanno preso l’appalto? Non ci siamo arresi e alla fine dopo una lunga lotta sindacale fatta di manifestazioni in cui c’era anche la Digos fu costretto a confermare i lavoratori. Fu un vero e proprio assedio ma ne è valsa la pena ed oggi ci riteniamo soddisfatti. Ma ora a preoccupare è l’internalizzazione del servizio ambulanze che l’Ares sta facendo, se Rocca diventa governatore del Lazio temiamo che ci sia la possibilità che venga fermata”.
L’appalto di Latina ha una storia controversa: la Croce Rossa ha tentato di essere risarcita per avere riconfermato i lavoratori segnalando quanto era accaduto alla Corte dei Conti. Nel 2015 infatti la gestione del servizio 118 in provincia di Latina, o meglio l’appalto per le ambulanze, avrebbe provocato un danno enorme al bilancio dello Stato. E tutto per la convenzione siglata dall’Ares e dalla Croce Rossa, in cui sarebbero stati sottostimati i costi per svolgere l’attività che doveva affrontare la Cri pontina, tanto che non sarebbe riuscita neppure a pagare oneri previdenziali e assistenziali al personale. Senza contare le molte assunzioni, fatte anche in violazione di legge.
Per questo la Corte dei Conti del Lazio aveva condannato quattro manager a risarcire quasi nove milioni di euro alla Croce Rossa. Nel 2018 il Tar invece ha ribaltato la decisione sul presunto spreco milionario relativo all’affidamento dell’appalto ambulanze del 118 alla Cri. I giudici contabili del Lazio avevano ordinato il risarcimento di quasi nove milioni di euro, somma ritenuta corrispondente alle perdite subite dalla Croce rossa nazionale e di conseguenza dallo Stato (i pontini avevano poi previsto molte meno assunzioni delle 62 inserite nell’accordo). La sentenza di condanna impugnata è stata annullata, ritenendo che vi fosse una “palese insufficienza del quadro probatorio”.