Massimiliano Smeriglio, si descrive sinteticamente sul suo X con la formula: politico, scrittore, docente. Ed è sul fronte politico – che lo ha visto negli anni presidente di Municipio, vicepresidente di Regione, due volte parlamentare e una europarlamentare – che arriva la novità. Al terzo anno della giunta Gualtieri, Smeriglio viene nominato assessore alla Cultura di Roma.
Smeriglio, è difficile non leggere come una mossa politica il rimpasto capitolino a due anni dal prossimo voto amministrativo, così com’è difficile non connettere le dinamiche romane a quelle nazionali. Lei è un grande sostenitore del “campo largo”, la sua nomina rilancia l’idea del progetto unitario a sinistra?
“Mi pare tutto più semplice e chiaro, l’assessore Gotor ha spiegato la necessità di dover interrompere la sua esperienza per motivi famigliari. Il sindaco Gualtieri in maniera repentina ha chiesto a me di ricoprire l’incarico, credo per la mia esperienza professionale e istituzionale, maturata dal Municipio, alla Regione, fino al coordinamento della Commissione cultura al parlamento europeo; e anche, immagino, per il mio profilo politico, di uomo di governo, di sinistra, indipendente. Poi sì sono uno che ha sempre lavorato, tra le linee, per favorire il campo largo, unica possibilità per tornare a essere competitivi con le destre”.
Lo scorso gennaio da europarlamentare ha ufficializzato l’addio al gruppo Pd di cui faceva parte. Una forte distanza innanzitutto sul tema della guerra. Ancora oggi nel centrosinistra una galassia composita di posizioni caratterizza l’approccio alla questione. Come ci si presenta agli elettori in assenza di una comune visione programmatica su punti tanto dirimenti?
“Ho lasciato il gruppo Pd per una distanza, che andava crescendo, sul modo di testimoniare, quindi votare, sulla guerra in Ucraina e sul massacro quotidiano del popolo palestinese. I due fronti messi a confronto rappresentano in maniera plastica l’idea del doppio standard, quello che vale per gli occidentali non vale per gli altri. Sia quando un popolo è aggredito, sia quando diventa aggressore. Ciò che mancava e continua a mancare a Bruxelles è una agenda di pace, una Europa capace di azioni diplomatiche, di interposizione, di negoziato, una Europa indipendente, forte, carismatica. Su questo bisognerebbe lavorare”.
Aumentano le spese militari in tutto il mondo, anche l’Ue sta rimpinguando le casse dell’industria bellica. Quest’anno la spesa militare italiana supererà per la prima volta i 29 miliardi di euro. È la strada giusta da perseguire?
“No, non lo è. I soldi non nascono sul pero, se decidi di investire su un modello di sviluppo fondato sulla industria bellica e la guerra, distruggi tutto il resto. Non solo svuoti le casse del servizio sanitario nazionale, della scuola, dei servizi pubblici, ma inveri un modello tossico di sviluppo che uccide, alza frontiere, alimenta il nazionalismo e il razzismo, intossica il dibattito pubblico, inquina e ribadisce una certa idea patriarcale della società. Questa è la guerra, lì dove accade e anche da noi. Creando fratture gigantesche con tanti popoli del mondo a cominciare dagli arabi mussulmani, di Gaza, del medio oriente e delle nostre città. È una strada sbagliata, spero che il nostro governo e la Commissione europea si fermino per tempo”.
Se sugli esteri e la corsa al riarmo è tanto critico con le azioni del governo Meloni, anche sulla cultura non scherza. Sì è autoproclamato come l’anti-Giuli, con un’abile mossa comunicativa. In cosa siete tanto distanti?
“Non mi sono dichiarato niente, è una pecetta messa lì da alcuni media. Con Giuli dobbiamo collaborare per il bene della Capitale del Paese, spero di vederlo quanto prima. Roma è patrimonio dell’umanità, c’è bisogno di valorizzarla e curarla. È una città immortale e fragile. Dopodiché è del tutto evidente che abbiamo idee del tutto diverse su molte cose, mi pare il sale della democrazia. Il pensiero unico e i partiti unici non fanno bene alla società contemporanea e neanche ai processi creativi e culturali”.
Mi permetta anche una nota di colore, se Giuli ha tatuata l’aquila sul petto. Lei con quale tatuaggio risponde? Ne ha, giusto?
“Ne ho diversi, li tengo per me. Anche io ho un’aquila, simbolo dei nativi americani vittime di un genocidio gigantesco che ci ha privato di storie, identità, culture. Ho l’uomo del futuro di un genio del design post futurista, Munari. E soprattutto ho Don Chisciotte e Sancho Panza di Picasso. Perché per fare politica senza perdere l’anima bisogna avere sogni grandi e visioni”.
Nota la sua attenzione alle politiche ambientali. Non più di una settimana fa è stato presentato nella Sala delle Bandiere il progetto del termovalorizzatore di Roma, un Parco dell’Economia Circolare studiato per essere integrato nel contesto circostante. Lei cosa pensa di questo progetto?
“Lavorare e realizzare una coalizione è cosa faticosa, dove non conta quello che ognuno di noi può pensare soggettivamente su ogni singolo tema o aspetto, conta la sintesi unitaria che permette di mettere insieme storie diverse per un progetto forte di governo e alternativa. Immagino la fatica che faranno i vertici di Pd, Movimento 5 Stelle, Avs nel definire un programma di governo capace di battere Meloni. Si parte da posizioni molto diverse su guerra, pace, armi, economia, energia e anche il ciclo dei rifiuti. Ma la responsabilità di tornare ad essere credibili agli occhi dei cittadini italiani imporrà di mettersi intorno ad un tavolo, magari trasparente e partecipato, con cautela e, appunto, capacità di sintesi. Sintesi avanzata e unita. Su questo ognuno di noi è chiamato a dare il proprio contributo”.