Sono giorni che fiumi di inchiostro, battiture compulsive sulle tastiere, interviste video e social sono dedicati a lei: Elisabetta Franchi. Da medio-woman, declinando al femminile un personaggio comico regalatoci dalla nostra televisione in passato, anch’io commento il caso spogliandomi però di un facile “giustizialismo” social e ricordando il biblico insegnamento del “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
Ecco, se fossimo degli attenti interpreti degli insegnamenti cristiani, di pietra non ne vedremmo nemmeno una. Tutti adottiamo quotidianamente mille e uno comportamenti condizionati dal patriarcato di cui anche noi donne, libere ed emancipate, siamo protagoniste inconsapevoli. E non si tratta solo di frasi infelici, come sono state quelle della nota stilista. Trattasi di tutti quei comportamenti paraverbali, che poi costituiscono il grosso della comunicazione e che ricordano il primato comunicativo dell’immagine muta sulla parola enunciata.
Con ciò non intendo essere indulgente con i messaggi discriminatori contenuti nel discorso della Franchi, ma ritengo profondamente ingiusto decontestualizzarli dal resto, compresa la sua storia (quella di una vera self-made woman) e dai dati che raccontano quante donne (non solo “anta”) lavorino nella sua azienda che tiene alta la bandiera dell’Italia nel mondo.
Allora, prima di renderci boia della gogna perennemente attiva del politically correct, chiediamoci se questa non dovrebbe essere azionata anche con noi. Con ciò non sto invitando ad affrontare la questione del sessismo in maniera superficiale, al contrario, vorrei solo che si avesse la forza di non renderla una battaglia di bandiera trovando ogni volta un colpevole da distruggere e grazie al quale sentirci delle persone migliori.
Elisabetta, maldestra e fuori luogo con le parole, resta una donna che ce l’ha fatta da sola in un modo ostile al nostro genere e quello che ci è dato vedere oggi dai suoi fiabeschi profili social è la punta dell’iceberg di una vita fatta di sacrifici e determinazione dalla quale, probabilmente, c’è solo da imparare. A coloro che raggiungono le vette del successo può però accadere che al pragmatismo si combini il cinismo e che la fatica affrontata non si tramuti nel desiderio di aiutare gli altri alleggerendoli di quello stesso carico che si è portato.
Un modo per dire: “so io quanto mi è costato tutto questo, prova a fare tu lo stesso se ne sei capace”. Certo, una sfida da cogliere ma in una società che dobbiamo contribuire a rendere migliore. E allora, cara Elisabetta, perché da “donna del fare” non apri all’interno della tua azienda degli asili nido così da renderti promotrice di un virtuoso welfare aziendale? Se poi le dipendenti sono davvero tutte “anta”, potranno portarci i nipotini. Altro giro di boa da non sottovalutare!