Separare le carriere dei magistrati, così il governo può dettare legge

Separare le carriere dei magistrati non significa garantire indipendenza: dove avviene, il controllo politico è la regola, non l'eccezione.

Separare le carriere dei magistrati, così il governo può dettare legge

Separare le carriere dei magistrati: un mantra ricorrente nella politica italiana, oggi ripreso con vigore dal governo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni. Il disegno di legge, approvato alla Camera il 16 gennaio e in rapida ascesa verso il Senato, si propone di distinguere in modo netto le funzioni giudicanti da quelle requirenti. Ma cosa comporta davvero questa riforma? E soprattutto, cosa accade nei Paesi che già adottano questo sistema?

Dove la separazione c’è, il controllo politico è una costante

Secondo un’analisi di Pagella Politica, in quasi tutti i Paesi dove esiste la separazione delle carriere, il controllo politico sulla magistratura è una costante. In Francia, per esempio, i pubblici ministeri dipendono gerarchicamente dal ministro della Giustizia, che può trasferirli a sua discrezione. La magistratura giudicante gode invece dell’inamovibilità. Il Conseil supérieur de la magistrature è diviso in due formazioni distinte per giudici e Pm, ma la supervisione politica rimane forte.

In Germania, la separazione è ancora più marcata. I pubblici ministeri sono funzionari del governo, soggetti alle direttive del Procuratore generale e del ministro della Giustizia. La nomina dei giudici, in molti Länder, coinvolge rappresentanti politici e in alcuni casi è affidata esclusivamente al ministro della Giustizia. Anche qui, l’influenza politica è evidente.

La Spagna segue un modello simile: il Procuratore generale dello Stato, che dirige i pubblici ministeri, è nominato dal Re su proposta del governo. In Inghilterra e Galles, il Crown prosecutor dipende dal Director of public prosecutions, a sua volta nominato dal governo e sotto la supervisione dell’Attorney general, responsabile dinanzi al Parlamento.

Negli Stati Uniti, il controllo politico è ancora più diretto. I district attorney possono essere eletti dai cittadini o nominati da autorità politiche, come il governatore dello Stato. A livello federale, gli United States Attorney sono nominati dal Presidente e dipendono dal Dipartimento di Giustizia.

Il caso italiano: tra autonomia e nuovi rischi

L’Italia, con il suo sistema attuale, mantiene un unico Consiglio superiore della magistratura (Csm), che garantisce l’autonomia dei magistrati. La riforma proposta, tuttavia, prevede la creazione di due Csm separati e un’Alta Corte disciplinare. I critici temono che queste modifiche possano aprire la strada a un’influenza politica più forte, riducendo l’indipendenza della magistratura.

Giuseppe Santalucia, presidente uscente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), ha espresso chiaramente questa preoccupazione: «Questa riforma è la strada verso un’azione penale influenzata dal potere politico». Le proteste della magistratura non si sono fatte attendere: il 25 gennaio molti magistrati hanno abbandonato le aule delle Corti di Appello in segno di protesta, e un primo sciopero nazionale è stato indetto per il 27 febbraio.

Nonostante il referendum del 2022, che vide il 70% dei votanti favorevoli alla separazione delle carriere, l’affluenza insufficiente ha reso nullo il risultato. Oggi il governo ripropone la riforma con rinnovato vigore, ma il rischio di un controllo politico sulla magistratura, come dimostrano gli esempi internazionali, resta un nodo cruciale.

L’analisi di Pagella Politica offre uno spunto chiaro: la separazione delle carriere, lungi dal garantire una maggiore terzietà, può facilmente diventare un grimaldello per l’ingerenza politica. E in un Paese con la storia dell’Italia, dove la magistratura ha già dovuto difendere la propria indipendenza in momenti cruciali come quello che stiamo attraversando, è più che lecito chiedersi se questa sia davvero la strada giusta.