Che la svolta green non sia più discussione da radical chic, ma un imperativo per salvare la vita sul pianeta dovrebbe ormai essere piuttosto chiaro a tutti. Come se non bastasse, a misurare l’impatto sull’economia dei cambiamenti climatici, nel proprio G2O Climate Risk Atlas, è arrivato il rapporto della Fondazione Cmcc, precisando che, nello scenario peggiore, senza un’azione urgente per ridurre le emissioni di CO2, le perdite di Pil dovute ai danni climatici nei Paesi del G20 aumenteranno ogni anno del 4%, e dopo il 2050 il danno potrebbe superare per 80 anni l’8% ogni 12 mesi.
Tra gli Stati più a rischio in tal senso spiccano il Canada, con un calo previsto del livello di Pil di oltre il 13%, pari a 133 miliardi di euro, entro il 2100, e l’India, dove il calo della produzione di riso e grano potrebbe provocare perdite economiche fino a 81 miliardi di euro entro il 2050 e del 15% del reddito degli agricoltori nei prossimi 80 anni. Stimati poi una diminuzione di un quinto del pescato in Indonesia e il pesante danneggiamento delle infrastrutture costiere in 30 anni, a causa dell’innalzamento del livello del mare, in Giappone e Sudafrica.
Previsioni fosche infine per l’Australia, l’Argentina, e il Brasile, oltre che per la stessa Europa. Con effetti che, in base all’analisi fatta, potrebbero non essere sostenibili per il mondo del credito e della finanza e con il paradosso che i maggiori inquinatori sono quelli che rischiano di essere tra i più colpiti da simili danni, come la Cina di Xi Jinping (nella foto).