Tutti, da Matteo Renzi a Paolo Gentiloni fino a Sergio Mattarella, hanno sempre avuto chiaro un punto: “non lasceremo da soli i terremotati”. Tanti intenti, sani e sinceri, traditi però dai fatti. E per di più ad essere stati traditi non sono solo i tanti colpiti dagli ultimi eventi sismici che hanno devastato il centro Italia, ma anche quelli di terremoti lontani, quasi dimenticati. O meglio: certamente dimenticati dalle istituzioni. Pochi giorni fa, infatti, stampa e opposizioni attaccavano il Governo per la decisione, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di citare in giudizio 55 famiglie vittime di terremotati per avere indietro i risarcimenti (da 60 a 200mila euro) pagati dopo la condanna di primo grado della Commissione Grandi Rischi. Uno schiaffo che fa male. Ma, ahinoi, non è l’unico.
Negligenza criminale – Facciamo un passo indietro rispetto al terremoto del 2009 dell’Aquila. Siamo nel 2002, nel piccolo Molise. Tutti ricorderanno le tragiche immagini di San Giuliano di Puglia, un paesino che suo malgrado è diventato l’emblema di un sisma che si è portato via una maestra e 27 bambini per il crollo della scuola elementare. Il Governo di allora, guidato da Silvio Berlusconi, sin da subito aveva preso un impegno concreto con le popolazioni colpite dal sisma: per dar loro modo di ricominciare, erano stati sospesi imposte e tributi locali a carico dei cittadini (contributi Inps, Inail, imposta Irpef, ecc.) dal 2002 al 2008. Per fare sì, tuttavia, che i Comuni interessati (sette in tutto) avessero fondi a sufficienza per far fronte alle spese, ordinarie e straordinarie, era stato predisposto un fondo ad hoc. Parliamo di 2 milioni 150 mila euro che, però, “non sono mai arrivati a destinazione”, puntualizza l’onorevole Rocco Palese che, non a caso, ha presentato a più riprese un emendamento per tentare di reinserire la restituzione della somma ai Comuni interessati. “Ci abbiamo provato – spiega a La Notizia – prima con la Stabilità, poi con il decreto Sud, infine con quelli relativo agli enti locali, ma per ora non se n’è fatto niente”. Col rischio, concreto, che i Comuni interessati (parliamo di piccoli centri tra Molise e Puglia da 1/2mila persone ciascuno) rischiano il dissesto.
Dove sono le case? – Ma non è tutto. Facciamo un ulteriore balzo temporale indietro. Siamo nel ’97, al terremoto che colpì l’Umbria. Al di là di una ricostruzione troppo spesso decantata, i dati dicono altro. “Ad oggi – denuncia il consigliere regionale M5S Andrea Liberati che a riguardo ha pure presentato un’interrogazione – devono essere ancora ricostruiti circa 10mila edifici”. Numeri clamorosi, ammessi dalla stessa giunta regionale guidata da Catiuscia Marini. Nella risposta all’interrogazione, infatti, si riconosce che “il totale degli interventi non ancora finanziati riguardano 7.838 edifici isolati e 1.465 Umi (Unità Minime di Intervento, ovvero l’insieme di uno o più edifici direttamente cantierabili, ndr) poste all’interno dei nuclei e centri storici”. “Solo ora – spiega Liberati – con l’attenzione mediatica dell’ultimo terremoto, la giunta è intervenuta per ricostruire quegli edifici, con una legge approvata a inizio anno”. Peccato però che “ad oggi poco è cambiato rispetto alle promesse fatte a inizio anno”, puntualizza ancora Liberati.
Oggi peggio di ieri – Ma torniamo all’ultima ricostruzione nel Centro Italia. E anche qui c’è poco da esultare. Pensiamo al Cas (Contributo Autonoma Sistemazione), l’aiuto economico (che Renzi ha alzato a 900 euro) per tutti coloro che vogliono provvedere da sé al proprio mantenimento: è arrivato in Umbria solo per i primi due mesi. Dopodiché il nulla siderale. E che dire ancora del cosiddetto “danno indiretto” per tutti coloro, commercianti e lavoratori, che sono stati colpiti nelle loro economie dal terremoto. Alle pressioni ancora dei 5 Stelle in Regione Umbria, è arrivata la risposta dell’assessore Antonio Bartolini che, suo malgrado, ha dovuto riconoscere che il danno indiretto sarà riconosciuto per non più di sei mesi. “Altrimenti l’Unione europea lo assimilerebbe ad aiuti di Stato alle imprese”. Così, per dire.
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