Il nodo resta sempre quello, l’articolo 2 del ddl Boschi. Ieri pomeriggio alla Camera sono tornati a vedersi Pierluigi Bersani e Lorenzo Guerini. Una chiacchierata informale per cercare di “sbloccare” la partita, ma per ora, spiegano fonti della minoranza Pd, non c’è alcun passo in avanti. E oggi è in agenda a palazzo Madama una riunione, invocata da Matteo Renzi, alla quale saranno presenti i capigruppo (Rosato e Zanda) Anna Finocchiaro, Emanuele Fiano e Doris Lo Moro. “E’ un modo per concedere una exit strategy ai bersaniani”, ragiona un fedelissimo del premier. Ulteriori aperture al momento, nonostante un nuovo appello alla ragionevolezza da parte di Roberto Speranza, non sono previste. La maggioranza prende tempo, il provvedimento dovrebbe andare in Aula attorno al 23 settembre e per ora prevale l’ipotesi dell’accantonamento del punto più controverso. I vertici del Pd attendono il pronunciamento da parte del presidente Grasso, prima di imbastire una vera e propria trattativa, ma non sul cuore della riforma. “Deve essere lui”, sottolinea una fonte renziana, “a trovare il modo per far ritornare i ribelli sui propri passi e deve farlo al più presto”. Ma la seconda carica dello Stato ha ribadito più volte che si esprimerà solo alla fine e che occorre un accordo politico per evitare spiacevoli incidenti in Parlamento. Il rischio è che le prime avvisaglie della battaglia possano arrivare già sull’articolo 1 del testo oppure che le opposizioni facciano mancare il numero legale. Per questo motivo è ripartita l’offensiva della maggioranza sui numeri. Che resta l’altro nodo da sciogliere e dal quale non si può certo prescindere. Il segretario del Pd, da parte sua, vuole che il suo partito sia al suo fianco, anche se la convinzione è che una decina di dissidenti possa “sfilarsi”. Anche i malpancisti di Ncd dovrebbero “rientrare”: per evitare possibili crepe la maggioranza potrebbe giocare la carta dei ricambi delle presidenze di commissioni e posticipare a novembre il ddl sulle unioni civili. Il Pd ha poi aperto un dialogo, portato avanti anche dal presidente della Commissione Finocchiaro, con le forze dell’opposizione: sia con la Lega per quanto riguarda le funzioni del Senato, sia con altri partiti. Come per esempio i Conservatori e riformisti che hanno presentato una cinquantina di emendamenti e sono pronti, spiega per esempio Antonio Milo, a votare sì alla riforma qualora ci dovessero essere delle reali aperture da parte del premier. “Per noi la questione dell’elettività del Senato non è dirimente”, sottolinea ancora Milo. Due i punti fondamentali: la perequazione nord-sud sulle infrastrutture e la necessità di mettere un tetto fiscale in Costituzione. Raffaele Fitto comunque frena e ai suoi ha ricordato che per ora il gruppo fuoriuscito da FI ha sempre votato contro. Per quanto riguarda gli azzurri Paolo Romani ha serrato i ranghi, ma sulla carta una decina di senatori potrebbe non presentarsi in Aula e abbassare così il quorum. “La verità”, sottolineano fonti parlamentari di FI, “è che Renzi sta cercando i voti del centrodestra per poi piegare la minoranza del Pd”.
Nessuna intesa sul Senato. L’apertura di Renzi non basta. La minoranza Pd resta contraria ad abolire l’elezione dei senatori. E spunta l’ipotesi fiducia
Il Pd si gioca tutto sul Senato. L'apertura di Renzi non convince la minoranza che rilancia la battaglia sull'articolo 2