Ci si aspettava una “restaurazione” immediata dei privilegi. E invece ieri sui vitalizi è arrivato l’ennesimo rinvio: il Consiglio di garanzia del Senato, guidato dal forzista Luigi Vitali (nella foto) e composto da Ugo Grassi e Pasquale Pepe, Lega, Alberto Balboni, Fdi, Valeria Valente, Pd, si è preso altre due settimane prima di emettere la sentenza definitiva. Sentenza delicatissima, non solo per le casse di Palazzo Madama e per i portafogli dei 771 ex senatori che hanno fatto ricorso contro la delibera taglia-assegni del 2018, ma anche per i 5 Stelle, che su questa battaglia ci hanno messo politicamente la faccia.
E che proprio ieri mattina, poche ore prima della seduta del Consiglio, con una mozione hanno portato in Aula “per la prima volta”, come ha rivendicato il capogruppo Ettore Licheri, il dibattito sui vitalizi ai condannati. Scatenando il caos (leggi l’articolo). Pietra dello scandalo per i grillini è ovviamente Roberto Formigoni, l’ex governatore lombardo condannato per corruzione a cui giusto dieci giorni fa è stato definitivamente restituito il vitalizio perché indigente. A deciderlo, in primo grado, era stata la Commissione contenziosa, e il Consiglio di garanzia aveva confermato la sentenza bocciando il ricorso dell’amministrazione.
GRASSO ROTTAMATO. In pratica, i due organi della giustizia interna del Senato, saldamente in mano al centrodestra dopo il “tradimento” di Alessandra Riccardi e Ugo Grassi, passati da Grillo a Salvini, e guidati entrambi da due forzisti, Giacomo Caliendo e Luigi Vitali, avevano rottamato senz’appello la delibera, voluta da Pietro Grasso nel 2015, che sospendeva il vitalizio ai condannati in via definitiva per gravi reati.
VITALI SULLA GRATICOLA. Sentenza giusta? Procedura corretta? Una delibera del Consiglio di presidenza può essere annullata come niente fosse, lasciando un vuoto normativo? Il dibattito in Aula, ieri mattina, si è fatto rovente in un attimo. Confessandosi “basito”, Vitali si è prima trovato a dover quasi difendere la sua sentenza, poi a sentirsi pubblicamente contestare i riferimenti normativi. E non solo da Grasso, il padre della delibera annullata, ma anche da Balboni, che come membro dello stesso Consiglio di garanzia aveva votato in dissenso.
Ma c’è chi si è spinto oltre, mettendo in discussione lo stesso sistema di giustizia interna di Palazzo Madama. “è come se al Senato si fosse consumato un auto golpe, con un conflitto di poteri tra organi interni che non ha precedenti nella storia della Repubblica” ha denunciato in aula il senatore Primo Di Nicola. “È come se un tribunale avesse cancellato una legge ordinaria: un pasticcio da Repubblica delle banane”. Anzi, un’invasione di campo. Su cui il Consiglio di presidenza potrebbe sollevare di fronte alla Consulta un conflitto di attribuzione.
FERMI TUTTI. È in questo clima, tesissimo dentro e fuori il Palazzo (Antonello Falomi, presidente dell’associazione ex parlamentari, denuncia da parte di Paola Taverna un’“agitazione” che “si configura, di fatto, come una indebita e illegittima pressione sui giudici”), che alle 15.30 il Consiglio di garanzia avrebbe dovuto giudicare sui tagli ai vitalizi. Rischiando di scatenare una guerra atomica. Meglio riparlarne tra 15 giorni.