Da una parte il governo pronto ad inasprire i provvedimenti contro i “lavoratori fannulloni”. Dall’altra la Cgil di Susanna Camusso che stoppa le nuove regole e va al muro contro muro. Senza però il coraggio di rischiare una clamorosa bocciatura appoggiando il referendum contro il Jobs Act. L’ennesimo segno di debolezza di un sindacato depauperato in forza e credibilità da una classe dirigente che sta lasciando le macerie. Così ci si rifugia nelle dichiarazioni furbette, nel cercare rinunciare alle piccole battaglie per dedicarsi a vincere le grandi guerre. E quand’è che il sindacato italiano ha vinto la sua ultima guerra? Quando con la concertazione ha imbrigliato per decenni l’economia del Paese? O quando con la scusa della partecipazione ha infilato centinaia di suoi dirigenti in ogni ambito di potere, dal Parlamento ai Cda delle imprese pubbliche e private? Così la Camusso ripiega nella battaglia contro il Jobs Act. Ovviamente facendo finta di fare un passo avanti per farne in realtà due indietro. “Le regole per licenziare i cosiddetti fannulloni ci sono già: mi piacerebbe che il governo dicesse perché non funzionano”, ha detto la segretaria intervenendo alla stazione Termini di Roma in occasione della presentazione della Carta dei diritti universali del lavoro, “sennò è una campagna, si chiama propaganda“. Il segretario generale della Cgil vede dunque il rischio di “inventare una campagna che fa sembrare i 3 milioni di lavoratori del pubblico impiego tutti nulla facenti. Dei truffatori dello Stato. E così si fa del male“, dice su questo punto giustamente. D’altra parte però non si può chiudere all’infinito gli occhi di fronte all’emergere dei casi clamorosi di assenteisti o furbetti che vanno a timbrare in ufficio anche in mutande o in costume per poi abbandonare il posto di lavoro. Di questi dettagli però non sembra preoccuparsi la Camusso, intenta piuttosto a cercare il consenso del pubblico impiego chiaramente non troppo felice di un giro di vite sui furbetti di Stato. “Noi parliamo all’insieme del mondo del lavoro, siano essi lavoratori a tempo determinato, indeterminato, parasubordinato, o alle nuove invenzioni che sono arrivate, come il lavoro con i voucher, così come al mondo autonomo“, ha detto perciò la segretaria Cgil, spiegando a questo punto perché il suo sindacato non sosterrà il referendum abrogativo di quel Jobs Act che era visto come il demonio. “Il sindacato – ha provato a buttare la palla in corner – è pronto a singoli punti di richiesta di abrogazione, che verranno però discussi all’interno della Cgil, nel quadro di una “ridefinizione generale dei diritti dei lavoratori”. Come dire, l’organizzazione è contraria ma alla guerra frontale non ci andrà. Per quale motivo? Mancanza di truppe o inizio dei negoziati sotterranei per un armistizio con il nemico giurato di Palazzo Chigi? In apparenza la risposta uno è quella da “accendere”, ma per come è fatto il sindacato italiano anche la risposta due non è senza senso.
Segnali di tregua a Palazzo Chigi. La Cgil non farà il referendum contro il Jobs Act. Ma di cacciare i fannulloni dagli uffici pubblici non se ne parla
Segnali di tregua a Palazzo Chigi. La Cgil non farà il referendum contro il Jobs Act. Ma di cacciare i fannulloni dagli uffici pubblici non se ne parla