Poveretto l’ex ministro Carlo Calenda! C’aveva cominciato a credere veramente che il Pd con l’arrivo del nuovo segretario Enrico Letta, lo avrebbe appoggiato nella sua auto-candidatura a sindaco di Roma. E invece niente. Il destino cinico e baro lo ha crudelmente illuso facendogli sniffare l’odorino di un succulento arrosto capitolino per poi lasciarlo a bocca asciutta, un po’ come il gatto Silvestro con la Titti.
Quel cattivone di Roberto Gualtieri, Pd doc, gli ha soffiato brutalmente la poltrona e lui minaccia fastidi elettorali. Ed allora l’ex ministro dello Sviluppo Economico sbotta: “Appare evidente la scelta di rompere. Mi sono candidato il 12 ottobre. Ho ritenuto di avvertire l’allora segretario Zingaretti per cercare di tenere unito il centrosinistra. Per la stessa ragione abbiamo partecipato a un tavolo di coalizione sparito nel nulla.
In questo lungo periodo ho lavorato sul programma. Abbiamo incontrato 500 associazioni di cittadini e analizzato i problemi di Roma quartiere per quartiere. Ora apprendiamo dai giornali, altro che tavoli e dialoghi, dell’imminente candidatura di Gualtieri. Appare evidente la scelta di rompere”.
E poi il gran finale con toni epici da cavalleria rusticana: “Ci confronteremo alle elezioni”. Insomma il nipote di Luigi Comencini non l’ha preso affatto bene e tutto questo è avvenuto nel giorno in cui un impietoso sondaggio Swg lo dà in calo dal 3.7% al 3.2% segno che gli elettori non hanno apprezzato affatto il suo comportamento tenuto durante la crisi del governo Conte 2.
Ed ecco quindi che il Calenda furioso si scaglia contro il nuovo Pd e anche contro il vecchio, visto che pare ce l’abbia pure contro Nicola Zingaretti che è un furbacchione di tre cotte e lo ha illuso di amarlo per poi tradirlo alla prima occasione con gli odiati Cinque Stelle, facendoli addirittura entrare in giunta con due assessori, tra cui una di alto valore simbolico come Roberta Lombardi alla Transizione ecologica.
Per di più il perfido Zinga gli ha messo pure su un bel tavolo di coalizione, seguendo lo spietato manuale comunista della Frattocchie che prevedeva, oltre che la rituale demonizzazione dell’avversario politico anche una sontuosa presa di fondelli con tanto di tavoli programmatici e finto interesse di comunanze di intenti.
Ma cosa hanno fatto gli italiani e i romani in particolare per meritarsi questo tormento di ex ministro assatanato di potere? Non lo sappiamo. Sappiamo solo che essendo lui di Roma il suo campo d’azione, come dire, è centrato proprio sulla Capitale anche se da ministro aveva giurato e anche in verità spergiurato che no, non era affatto interessato al Comune e che non sapeva più in che lingua dirlo e gli erano rimasti solo alcuni dialetti caucasici – per di più poco diffusi – per esternare il suo disappunto per quei cattivoni di giornalisti che avevano osato adombrare questa possibilità che implicava l’utilizzo della sua visibilità pubblica ministeriale per bassi fini elettorali. Ma tant’è.
Poiché non è riuscito ad acchiappare altro Calenda si è fissato di brutto sulla Capitale e poiché ci crede veramente di poter fare il sindaco sono mesi che molesta quotidianamente quei poveretti del Partito democratico che ora per levarselo di torno hanno incoronato Gualtieri e in caso di ballottaggio potrebbero sostenere sempre la Raggi, cosa difficilissima se candidasse Calenda.