L’esperienza dello scorso anno con la variante inglese, che ci ha costretti ad un altro duro lockdown invernale, evidentemente non ci è servita da lezione. Forte forse dell’arrivo dei vari vaccini la task force del commissario per l’emergenza covid, il generalissimo Francesco Paolo Figliuolo, ancora non ha messo in campo un piano B contro la nuova minaccia, la temutissima variante delta, nota anche come variante indiana. Il nuovo virus che ha messo in ginocchio l’Inghilterra imponendo misure restrittive fino al 21 luglio, spaventa anche l’Italia.
“Ha una contagiosità maggiore rispetto a quella inglese, ma la stragrande maggioranza di coloro che nel Regno Unito sono stati ricoverati a causa della variante indiana non aveva fatto il vaccino”, ha detto Pierpaolo Sileri, sottosegretario alla Salute. Che in merito ai casi diagnosticati in Italia ha aggiunto: “Molti avevano fatto una sola dose. Una parte minoritaria aveva completato il ciclo vaccinale. Il fatto che uno possa prendersi il virus pur avendo completato il ciclo vaccinale è una possibilità, perché non tutti rispondiamo alla stessa maniera, e poi bisogna vedere quando questi pazienti avevano fatto la seconda dose”, ha aggiunto.
Proprio sull’argomento è stato pubblicato uno studio su The Lancet che afferma che la variante indiana riduce del 13 per cento l’efficacia dei vaccini, ma due dosi – sia di Astrazeneca che di Biontech-Pfizer – riducono il rischio di infezione. L’analisi – condotta dall’Università di Edimburgo – ricorda che il rischio di ricovero in ospedale dopo essere rimasti contagiati con la variante Delta è quasi doppio rispetto a quello della variante Alfa (inglese). Ma un completo ciclo vaccinale fornisce comunque una forte protezione, sebbene inferiore rispetto alla variante inglese.
Inoltre secondo i dati analizzati dai ricercatori la variante indiana è ormai la forma predominante di coronavirus nel Regno Unito e si ritiene che sia al 60 per cento più trasmissibile di quella inglese. I vaccini, è stato rilevato dagli scienziati, riducono il rischio di ospedalizzazione, ma occorrono 28 giorni dopo la somministrazione della prima dose per riscontrare forti effetti di protezione contro la variante delta. In particolare, il vaccino Pfizer-Biontech fornisce contro questa variante una protezione del 79 per cento, invece che il 92 per cento di protezione come avviene con la variante inglese (leggi l’articolo).
Per il vaccino AstraZeneca, è stata rilevata una protezione del 60 per cento contro le infezioni dovute alla variante indiana, invece che del 73 per cento come avviene per la variante inglese. Certo è che la scelta di allungare i tempi tra la prima e la seconda dose potrebbe rivelarsi fatale e costringere il Paese ad un’altra, l’ennesima, morsa autunnale. C’è da dire, poi, che in Italia, a differenza di quanto avviene in Inghilterra, manca un reale monitoraggio dei casi di variante indiana. In effetti la procedura attuale consiste nel fare il tampone e, se positivo e con un’alta carica virale, si procede a un secondo test, studiato per verificare in modo specifico la presenza della sola variante Alfa, ossia la variante inglese secondo la vecchia terminologia.
Checché ne dica il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, che sostiene che sia tutto sotto controllo nella sua regione, dimenticando che proprio due giorni fa una palestra di Milano era in balia di un nuovo focolaio che non aveva risparmiato neanche i vaccinati con due dosi, il problema dello screening potrebbe essere più importante del previsto perché non consentirebbe di valutare l’estendersi della nuova variante.
Come se non bastasse, nonostante L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) abbia approvato la vaccinazione mista per gli under 60 che abbiano ricevuto una prima dose di AstraZeneca, le Regioni continuano ad andare in ordine sparso e aprono un nuovo fronte: con i vaccini a vettore virale ormai marginali servono più dosi di Pfizer e Moderna per non rallentare la campagna e raggiungere l’immunità di gregge a settembre.
Ma il generalissimo rassicura: “Il piano vaccinale a oggi è e resta sostenibile. Non ci sarà alcun rallentamento ed entro fine settembre l’Italia avrà a disposizione un numero sufficiente di dosi per coprire l’80 per cento della platea di vaccinabili”. “Ai nuovi vaccinati non sarà somministrato AstraZeneca al di sotto dei 60 anni, rispetto al vaccino Johnson & Johnson la posizione del Ministero non è definita in modo chiaro e vincolante. Pertanto tale vaccino non sarà somministrato sotto i 60 anni”, ha detto il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca.
Il risultato è il caos, che si va ad aggiungere alla confusione e alla perdita di fiducia da parte dei cittadini provocata dall’apertura al mix sui vaccini e dall’ennesimo cambio di rotta, il quarto dall’inizio dell’anno, su Astrazeneca imposto dagli esperti.