di Gaetano Pedullà
Il tempo. Si può davvero misurare il tempo? Sì, d’accordo, ci sono gli orologi. A quelli più sofisticati non sfugge un secondo. Ma i minuti, le ore, i giorni di chi è senza lavoro, di chi aspetta un pagamento dallo Stato, di chi soffre in un Paese senza guida, sono lunghi tanto quanto i minuti, le ore e i giorni di chi fa politica con la pancia piena, di chi cincischia nel Palazzo, di chi aspetta i “saggi” di Napolitano senza accorgersi che l’Italia muore? No, il tempo ha una sua relatività. Anche se sentir dire al Quirinale che non si sta perdendo un secondo lascia sicuramente perplessi. Il guaio è che le consuetudini della politica richiedono tempi ormai incompatibili con l’urgenza delle risposte dovute ai cittadini. E non c’è antipolitica che riesca a suonare la sveglia. Naturale l’irritazione di Napolitano, custode di norme antidiluviane, di fronte a un Renzi qualunque che spiega come oggi il mondo ci impone di correre a una velocità doppia rispetto a metà del pianeta che ha fame. E che sta mettendo fuori gioco chissà per quanti anni, l’economia e la stessa sopravvivenza di un’Italia ingessata da ogni tipo di bizantinismo.
Peccato per Napolitano, costretto a chiudere i suoi sette anni non facili sul Colle con il “passatempo” dei saggi, proprio mentre la casa brucia e ogni giorno passato senza governo affonda il Paese un pezzetto di più.
Naturale che cresca lo sbigottimento degli italiani e di chi ci guarda dall’estero. Qui non si balla sul Titanic. Si aprono le paratie mentre la nave cola a picco. E naturale che continui a crescere la tentazione di tornare subito al voto, anche con l’attuale brutta legge elettorale. Una tentazione che però ha senso solo se l’offerta politica sarà diversa rispetto al 25 febbraio scorso.