Dopo le proteste del sindaco di Bologna, Lepore, per “le 300 camicie nere” di CasaPound, la Meloni ha replicato: “Se mi crede fascista, non mi chieda aiuto”. Una frase sprezzante che dà la misura del personaggio.
Livio Valente
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Gentile lettore, la Meloni si riferiva agli aiuti chiesti dal sindaco dopo l’alluvione del 19 ottobre. La frase esatta è stata: “Se io fossi la picchiatrice fascista che il sindaco dice, non dovrebbe chiedermi collaborazione”. La frase è la quintessenza di quel pensiero antiliberale secondo cui i beni dello Stato sono proprietà di chi “comanda”. Ne discende, in questa visione distorta, che chi sale al potere per il bene del popolo, in realtà si appropria dei beni del popolo e di tutto il potere. Una struttura civica, un sindaco, che in una calamità chiede aiuto allo Stato centrale, è la norma. Ma se chi rappresenta lo Stato, invita a “non chiedere” perché la richiesta viene da persona con una differente idea politica, allora siamo nella subcultura, nei livelli infimi in cui attecchiscono le radici del fascismo. Non mi stupisco per quella frase della Meloni. Cosa aspettarsi da una che è cresciuta nel mito di “Mussolini grande statista”, quando il Duce frenò per 20 anni la crescita dell’Italia? La Meloni si è formata nel Msi e poi in Forza Italia, partito che appare, per paradosso, quasi un illuminato istituto liberale se raffrontato alle idee della premier. E non mi si dica che è solo ignoranza e che la signora in fondo ha solo il diplomino dell’Istituto alberghiero. È molto peggio: è portatrice di un’idea malsana e pericolosa di società, di politica e di Stato.
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