di Marcel Vulpis
Il futuro del calcio passa per i fondi di investimento. E’ la nuova frontiera di un prodotto sportivo che cerca di evolversi sempre più verso la cosiddetta “finanza creativa”. Il più importante tra quelli attivi sul mercato è il Doyen sports investments, che controlla l’immagine, ma soprattutto i contratti faraonici di Xavi Hernàndez (Barcellona) o Radamel Falcao (Atletico Madrid). Parliamo del Doyen group: sede centrale a Istanbul, ma interessi e intermediazione di affari nel cuore della city di Londra. E’ una vera e propria holding, con una serie infinita di consociate (tra cui la stessa DSI), che ha il core-business nelle materie prime (carbone, gas, metalli preziosi), e tra queste ci sono anche 40-50 calciatori di primo livello, in giro per Spagna, Portogallo e Brasile.
Il colombiano Falcao (25 reti in questa stagione), oggetto dei desideri di molti club, a partire dal Chelsea, pronto, pur di averlo, a pagare 50 milioni di euro di clausola rescissoria, è la punta di diamante del portafoglio del fondo turco. Il 50% del suo cartellino è saldamente nelle mani di Jorge Mendes, il procuratore di calcio più ricco al mondo, legato a filo doppio all’immagine e ai guadagni dell’allenatore Josè Mourinho (attualmente, ma ancora per poco, alla corte del Real Madrid) e con forti interessi economici in questa società turco-britannica. Ma il caso dell’attaccante dell’Atletico Madrid non è isolato. Ci sono infatti giovani talenti come Ganso e Neymar, in forza al San Paolo e Santos, di proprietà di fondi sudamericani (Traffic e Dis), rispettivamente gestori al 55% e 40%.
Più il calciatore si sposta da un club all’altro, più viene coperto d’oro da sponsorizzazione, più gli investitori di questi fondi portano a casa, a fine stagione, utili a nove zeri. Di fatto, però, le logiche sportive di un club, soprattutto quando si parla di top player, saranno, nel futuro, sempre più guidate dalle strategie d’investimento degli azionisti di queste società finanziarie. L’Uefa e la Fifa hanno acceso i riflettori su queste nuove forme di comproprietà, o peggio ancora di multiproprietà di calciatori, perchè i contratti dei tesserati per regolamento non dovrebbero incidere sull’indipendenza, la politica o la performance di una squadra. Cosa che, invece, sta succedendo ed è destinato a ripetersi se il numero dei calciatori, di proprietà di fondi dovesse crescere vertiginosamente nel tempo. Molti anni fa alcuni addetti ai lavori posero l’indice sull’anomalia di una Parmalat che produceva latte, ma con l’altra mano comprava calciatori e gestiva un club. Oggi bisognerebbe interrogarsi se sia normale che un fondo che scambia azioni legate all’uranio possa avere in portafoglio le azioni di una stella del calcio del calibro di Radamel Falcao. Un’anomalia su cui bisognerà riflettere, per capire concretamente se la finanza creativa è (o meno) il futuro del calcio del Terzo Millennio.