Oggi, 15 novembre, migliaia di ragazzi hanno sfilato nelle strade per protestare contro il governo Meloni e le politiche che, a loro dire, stanno svuotando la scuola pubblica di ogni sostanza. Diritto allo studio, fine della subordinazione al lavoro, investimenti reali nell’istruzione pubblica: questi i punti chiave di una mobilitazione che ha coinvolto liceali, universitari e associazioni studentesche. Il tutto sotto lo slogan “Vogliamo potere”, che sintetizza un’istanza di protagonismo giovanile contro un sistema che sembra ignorare le loro richieste.
Un grido contro la scuola-merce: il corteo degli studenti di Roma
Il corteo a Roma, partito da Piramide, ha sfilato fino al Ministero dell’Istruzione, tra striscioni provocatori e simboli emblematici. Su un carrello della spesa, gli studenti hanno sistemato un asino di cartone con un cartello indirizzato alla ministra Bernini, un gesto che non lascia spazio a interpretazioni: una scuola trattata come una merce al ribasso. “Non vogliamo più essere studenti di serie A e di serie B”, hanno gridato al megafono, mentre altri esponevano cartelli contro l’alternanza scuola-lavoro, definita “una trappola per giovani vite”.
Il clima si è acceso anche a Torino e Bologna, dove le proteste hanno assunto toni forti. A Torino, un fantoccio con il volto del ministro Valditara è stato bruciato, suscitando polemiche e accuse di violenza ideologica. A Bologna, manifestanti hanno imbrattato di vernice rossa manifesti con i volti della premier Meloni e dei ministri Bernini e Valditara, accusandoli di avere “le mani sporche di sangue” per le politiche che penalizzano l’istruzione e favoriscono, secondo loro, l’industria bellica.
Le ragioni della protesta non sono solo economiche. Gli studenti denunciano un sistema educativo che, invece di formare menti critiche, “prepara al sacrificio per un mercato del lavoro che sfrutta e reprime”. Richiedono una scuola pubblica gratuita e accessibile, una didattica slegata dagli interessi privati e un investimento concreto nel benessere psicologico. “Non vogliamo più essere ignorati nelle decisioni che riguardano le nostre vite e il nostro futuro”, ha dichiarato Tommaso Martelli, coordinatore dell’Unione degli Studenti.
La politica divisa tra accuse e solidarietà
Dalla Lega, Andrea Crippa ha bollato la manifestazione come “un ennesimo flop”, accusando i partecipanti di “violenza e intimidazione”. Secondo Crippa, la maggioranza dei giovani italiani “crede nel confronto rispettoso” e non si riconosce in queste proteste. Un’analisi che fa eco al vittimismo ormai strutturale della destra italiana: ogni critica diventa un attacco personale, ogni contestazione una strumentalizzazione. Di tutt’altro avviso Pd e Movimento 5 Stelle, che hanno espresso solidarietà agli studenti e criticato il governo per il disinvestimento nell’istruzione pubblica, accusandolo di alimentare diseguaglianze e divisioni sociali.
Momenti di tensione durante le manifestazioni degli studenti
Non sono mancati momenti di tensione, come il lancio di vernice rossa a Roma o gli slogan contro Israele a Bologna, che hanno attirato l’attenzione dei media. Ma ridurre una giornata di protesta a questi episodi sarebbe miope. Ciò che emerge è una generazione che rifiuta di essere relegata ai margini, che lotta per un’istruzione degna di questo nome e che rivendica il diritto di esprimersi, anche contro un governo che non li ascolta.
Dietro gli striscioni, le voci e le accuse, c’è un grido d’allarme: la scuola pubblica è sotto attacco. E se la politica non si assume la responsabilità di rispondere, le piazze continueranno a farsi sentire. Perché, come ha scritto qualcuno su un muro durante il corteo, “Il futuro non si taglia”. Ma il dibattito, c’è da scommetterci, ora si concentrerà sulle presunte “violenze” degli studenti. Anche loro ormai sono nel mazzo dei nemici.