Il liceo del Made in Italy è stato un fiasco, d’accordo. Ma sulla carta sembrava una buona idea. Mi può spiegare i motivi del flop?
Mirko Lambrate
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Gentile lettore, per rispondere devo partire a mia volta da una domanda: cosa significa Made in Italy? È una dicitura che raccoglie un vasto numero di campi d’azione, commerciali e industriali, nei quali l’Italia s’è imposta negli ultimi decenni. Tali campi, per citarne solo alcuni, vanno dall’eccellenza (ormai finita) nella costruzione di automobili all’enogastronomia, al design di moda, all’architettura d’interni, alla fabbricazione di elettrodomestici, di yacht, di tessuti pregiati e anche ai successi del cinema neorealista che s’impose negli anni ’50-70 e contribuì al concetto di Made in Italy. Concorderà che progettare un motore della Ferrari non è la stessa cosa che disegnare un tailleur di Armani. E formarsi come architetto è diverso dall’apprendere i mille mestieri dell’enogastronomia. E dico mille perché coltivare un vitigno non è come miscelare e tostare il caffè o trattare la bresaola, il prosciutto di Parma, il parmigiano reggiano o la mozzarella di bufala. Ebbene, come si può sognare che una scuola insegni tutti o anche solo alcuni di quei mestieri? È assurdo. Solo una mente poco acculturata come quella della dottoressa alberghiera Meloni può non sapere che per ciascuno di quei mestieri esistono già svariate scuole e facoltà universitarie, che si tratti di architettura o scienza degli alimenti o design di moda o ingegneria meccanica o cinematografia. In sintesi, confermo che presunzione e limiti culturali della Meloni sono una sciagura.
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