Bastava prendere il calendario per capire quando sarebbe scoppiato un nuovo scandalo contro il Movimento 5 Stelle. E la previsione, bollata come complottista dai soliti benpensanti, è stata rispettata: prima del 4 dicembre è arrivata l’inchiesta sulle firme false, prima a Palermo e poi a Bologna. Ovviamente con tanto di articoli e servizi televisivi rilanciati a reti unificate, puntando l’indice contro il M5S.
Sospetti – In assenza di nuove colate di fango nei confronti della sindaca di Roma, Virginia Raggi, serviva un altro assist perfetto alla propaganda del Pd renziano. Una macchina preoccupata dagli ultimi sondaggi pubblicati e in evidente affanno per gli strafalcioni del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. I sospetti sulla tempistica si rafforzano di fronte a un dato, anzi una data, inconfutabile: le indagini a Bologna sono state avviate in seguito a un esposto depositato da due ex militanti grillini il 27 ottobre 2014. Da allora sono passati oltre due anni senza che la vicenda emergesse. Insomma, sembrava una delle tante segnalazioni lasciate in un cassetto della Procura senza ulteriori riscontri. E invece è arrivato il colpo di scena: a poco più di una settimana dal referendum sulla riforma vengono diffuse le notizie delle indagini sul conto anche di Marco Piazza, volto noto del M5S bolognese e vicepresidente del consiglio comunale della città. Il diretto interessato, come capita spesso con la Giustizia italiana, non era a conoscenza della situazione: “Ho appreso dalla stampa la mia iscrizione nel registo degli indagati. Quindi vi ringrazio per il servizio che fate, speravo che ci fosse una procedura più formale. Invece apprendo che in Italia si viene a sapere di essere indagati dai giornalisti”.
Niente garantismo – I fedelissimi del premier si sono subito lanciati all’attacco all’arma bianca, omettendo anche i basilari principi di garantismo. Certo, la magistratura dovrà fare chiarezza sulle irregolarità. Ma al momento ci sono appena dieci indagati che devono essere ascoltati dagli inquirenti. Invece se si leggono le dichiarazioni dei parlamentari dem sembra che sia già stata emessa una sentenza di condanna in via definitiva per i deputati pentastellati, e Claudia Mannino, e gli altri iscritti nel registro degli indagati. “Quattro indagati per le firme false a Bologna, sommati con quelli di Palermo sono dodici. Allora è un metodo, si chiama Grillopoli”, ha sostenuto la vice capogruppo democratica del Pd alla Camera, Alessia Morani. L’accerchiamento è stato completato dal componente della segreteria dem, Emanuele Fiano: “Grillo, Di Maio e Di Battista se ne lavano le mani e stanno zitti dopo aver raccontato la balla che a Palermo si trattava solo di un errore di copiatura, mentre le firme erano false. Cosa diranno su Bologna?”. Del resto nemmeno questo sorprende molto: il centrosinistra ha sempre saputo sfruttare la giustizia a orologeria, facendo a pezzi il garantismo. Salvo invocarlo quando le indagini riguardano esponenti dem…