Per loro è “come un santo, come Padre Pio“. Per gli altri, quelli che lo cercano, è invece un “latitante mobile“, diverso dalle tante primule rosse del passato. Dopo l’inchiesta di ieri, infatti, si ha la conferma che Matteo Messina Denaro si sposta: sicuramente è stato in Calabria. Sono dettagli, importanti, che emergono dall’ultima operazione della procura di Palermo da cui emergono contatti tra il boss di Castelvetrano e la ‘ndrangheta, come hanno ipotizzato in passato anche alcuni collaboratori di giustizia. L’indagine ha portato al fermo di 21 tra boss e fiancheggiatori del boss trapanese e ha consentito di individuare la rete di smistamento dei pizzini con i quali Messina Denaro dava gli ordini agli affiliati. Ma non solo. Perché ascoltando le intercettazioni gli inquirenti hanno sentito anche frasi pesantissime sul piccolo Giuseppe Di Matteo, il bambino strangolato e poi sciolto nell’acido: “Hanno fatto bene“, commentano gli uomini di Cosa nostra.
Il nuovo che avanza – Sarebbe, però, un errore leggere quest’operazione prescinendo dal quadro generale tracciato dalla Direzione Investigativa Antimafia nell’ultima relazione presentata in Parlamento. Dal rapporto degli investigatori emerge che, sebbene sia ancora imprescindibile il ruolo di U siccu, è altrettanto vero che si colgono “segnali interessanti rispetto ad una lenta ma progressiva minore pervasività operativa della sua leadership”. Per la prima volta dopo anni, dunque, si statebbe allentando la posizione di granitica leadership del boss di Cosa nostra in Sicilia. “Si prospetta – continua ancora la Dia – la formale apertura di una nuova epoca, quella della mafia 2.0, sempre più al passo con i tempi, che confermerà definitivamente la strategia della sommersione”. Una mafia, dunque, a passo coi tempi, ma legata alle “tradizioni”. Anche più di prima, in un certo senso. Perché a tornare in auge sarebbero le famiglie palermitane. Insomma, dopo la parentesi di potere corleonese e dopo il boss di Castelvetrano (altro colpo pesante per Messina Denaro, peraltro, è stato il commissariamento del Comune per infiltrazione mafiosa), il potere tornerebbe ai mandamenti di Palermo. La relazione, infatti, ipotizza la possibilità di un accordo tra i capi più influenti per ricostituire una sorta di “cabina di regia”, simile ma diversa dalla Commissione provinciale (che non risulta essersi più riunita dopo l’arresto dei capi storici), intesa quale organismo unitario di vertice, con un prevedibile ritorno in scena, appunto, dei “palermitani”.
Nuovi equilibri – Ma di chi parliamo? Secondo le ultime risultanze investigative, nella città di Palermo sarebbero attivi otto mandamenti per un totale di 32 famiglie. Dal mandamento dei Resuttana fino a Porta Nuova passando per Brancaccio, sarebbe nata una “nuova mafia”, sempre più “silente e mercatistica”, privilegiando un modus operandi “collusivo-corruttivo”: gli accordi affaristici “non sono stipulati per effetto di minacce o intimidazioni, ma sono il frutto di patti basati sulla reciproca convenienza”. Conseguentemente non dovrebbero profilarsi guerre di mafia per sancire la successione di Riina”. Appare, infatti, superata per sempre, aggiungono gli investigatori, “l’epoca della mafia violenta, che ha ceduto il passo a metodologie volte a prediligere le azioni sottotraccia e gli affari, sovente realizzati attraverso sofisticati meccanismi collusivi e corruttivi”. Messina Denaro, insomma, pare avere le ore contate. E a saperlo è anche la mafia stessa.