Save the Children boccia la scuola delle destre: “Garantire a tutti l’accesso a un’istruzione inclusiva, equa e di qualità”

Secondo la Ong, gli studenti "devono essere messi nelle condizioni di partecipare in modo significativo alla vita scolastica”.

Save the Children boccia la scuola delle destre: “Garantire a tutti l’accesso a un’istruzione inclusiva, equa e di qualità”

Un tempo si sarebbe chiamata pedagogia dell’esclusione. E adesso anche Save the Children lo dice chiaramente: servono didattica inclusiva e partecipazione attiva. Due parole che suonano come una smentita formale del modello di scuola che il governo sta imponendo, passo dopo passo.

Nel comunicato dell’organizzazione si legge che è “fondamentale garantire a tutte le studentesse e a tutti gli studenti, a prescindere dal contesto socio-economico di provenienza, l’accesso a una scuola inclusiva, equa e di qualità”. Non una frase da convegno: una presa di posizione. Perché oggi la scuola italiana è tornata a distinguere tra chi può e chi no, tra chi ha gli strumenti per eccellere e chi deve adattarsi, in silenzio, a restare indietro. Altro che ordine, disciplina e merito. La scuola delle destre non corregge le disuguaglianze: le premia.

Scuola, l’inclusione non è un favore

Save the Children parla di “personalizzazione dei percorsi educativi”, ma con un significato opposto a quello governativo. Non classi differenziate, non piani personalizzati come scorciatoie per il declassamento, ma attenzione reale ai bisogni di ogni alunno. L’inclusione non come retorica, ma come struttura. Il contrario delle politiche ministeriali che chiedono sempre più rigore, sempre più voto, sempre meno ascolto.

La scuola delle destre è una scuola punitiva. Dove il voto in condotta torna a pesare sugli scrutini, dove l’educazione al rispetto viene insegnata come fosse una caserma, dove chi sbaglia viene schedato, sorvegliato, sospeso. E chi fatica viene lasciato solo. La partecipazione studentesca non è prevista, se non quando si piega al decoro. Il pensiero critico non è incoraggiato, se non quando resta educatamente fuori dalle decisioni.

Save the Children, invece, lo ribadisce: “Le studentesse e gli studenti devono essere messi nelle condizioni di partecipare in modo significativo alla vita scolastica”. È una questione democratica, non pedagogica. Una scuola che esclude è una scuola che reprime. Una scuola che reprime è una scuola che serve a formare sudditi, non cittadini. E il disegno ormai è chiaro: un’educazione che obbedisce al potere, che non ne discute mai la legittimità.

Il merito come alibi per la disuguaglianza

I dati intanto raccontano un’altra verità: dispersione scolastica oltre la soglia europea, povertà educativa in aumento, disuguaglianze territoriali che si allargano. Eppure il ministero rilancia. Vuole una scuola performativa, dove contano i risultati, le medie, le prove Invalsi. Dove ogni ragazzo è un codice fiscale che si gioca la vita su una pagella. Ma così si riproducono le distanze, si istituzionalizza l’ingiustizia.

Nel silenzio delle classi pollaio, nelle scuole con il tetto che crolla e i bagni fuori uso, il merito è solo una beffa. E la povertà educativa non è una variabile da contenere, ma un elemento strutturale. Perché permette di giustificare ogni scelta: se non ce la fai, è colpa tua. Se resti indietro, è perché non ti impegni abbastanza. La scuola italiana ha smesso di essere un ascensore sociale. Ora è una scala ripida, e chi scivola non trova più nessuno che lo aiuti a rialzarsi.

L’intervento di Save the Children è una denuncia lucida. Ricorda che “l’educazione è il pilastro dello sviluppo umano e sociale, della democrazia e della cittadinanza attiva”. Un principio basilare che sembra cancellato dal lessico istituzionale. Oggi si parla solo di ordine, voti, premialità. Il linguaggio del comando ha sostituito quello della cura. E non è un caso. Perché una scuola che cura è una scuola che trasforma. Una scuola che accoglie è una scuola che sovverte. E questa, per il governo, è la vera minaccia.