A Napoli c’è un’affezione per la polemica sull’identità partenopea che spesso si confonde con i luoghi comuni. La pubblicazione del testo della canzone “Io p’ me, tu p’ me” del rapper Geolier che sarà al Festival di Sanremo ha sollevato un polverone in cui è stato trascinato pure il sindaco Gaetano Manfredi. La polemica, partita da uno scrittore-blogger seguito sui social, ha visto anche l’indignazione del presidente della Fondazione “Premio Napoli” Maurizio De Giovanni “a difesa della lingua napoletana”.
A Napoli la canzone “Io p’ me, tu p’ me” del rapper Geolier che sarà al Festival di Sanremo ha sollevato un polverone
A quel punto la canea social ha investito, addirittura, attivisti e polemisti nell’eterno scontro di due curve sotto le pendici del Vesuvio. La risposta alla inadeguatezza stilistica di Geolier arriva, però, da chi vede nel giovane cantante partenopeo un vero e proprio riferimento per “farcela”. Emanuele Palumbo (il vero nome di Geolier, ndr) arriva da Secondigliano, vive ancora lì con la sua famiglia e nel rione Gescal dove è cresciuto non hanno alcun dubbio da che parte stare: per lui c’è un murale accanto a quello di Diego Armando Maradona. Stessa cosa anche nella periferia est, a San Giovanni a Teduccio.
Chiusa la polemica sui testi, spuntano gli striscioni a sostegno del rapper
Sulla parete dell’opera dove c’è il “grande Maradona” in quel Bronx che entro tre anni sarà abbattutto, è comparso uno striscione: “questa è la tua seconda casa, Geolier vinci per Napoli”. Sullo sfondo di una polemica peregrina per la scrittura del testo in napoletano c’è un dato sociale e culturale. Riguarda le due Napoli, quella “di sopra” e quella “di sotto”. La prima, spesso, non è costretta a sbarcare il lunario e volge il pensiero verso la facile polemica invertendo le priorità. La seconda, invece, orfana di un lavoro degno e del reddito di cittadinanza trova nei miti o nel successo di un giovane, cresciuto nella enclave dei clan più feroci della città, un motivo di orgoglio.
Scrittori, blogger e anche il sindaco Manfredi si sono espressi sullo slang con cui cantano le nuove generazioni
Lo stesso rapper ha provato a spiegare che in certi contesti si parla con un “flow” dove la velocità aumenta, dove devi anche pensare in fretta e quindi si scrive esattamente come si parla: senza vocali. Se per chi vive solo convegni e salotti più o meno culturali si tratta di un “napoletano scorretto”, significa che dopo Ermanno Rea c’è davvero poca intellighenzia interessata a scendere nelle viscere di Napoli, provando a comprendere. Forse non è un caso che un bravo e giovane regista come Marco D’Amore abbia portato sul grande schermo “Napoli Ferrovia” con il film “Caracas”, ispirato al romanzo di Rea del 2007: da 17 anni la città è orfana di chi sa far incontrare quelli “di sopra” e quelli “di sotto”.