di Monica Tagliapietra
Tagliate di tutto, ma non gli stipendi. Negli ospedali italiani la Svizzera è lontana. E non solo, troppo spesso, per la qualità dei servizi. E’ lontana – lontanissima – la rivolta popolare che attraverso un referendum ha messo un tetto agli stipendi dei manager della Confederazione. Qui da noi, invece, la rabbia resta senza risposte, tranne giusto lo “sfogo” in cabina elettorale. E se si parla di sanità diventa ogni giorno più insopportabile lo “spread” tra dirigenti strapagati e cittadini senza diritto alla salute. Malati lasciati giorni in corsia o spesso respinti da strutture dove trovare un letto è un lusso. Colpa dei tagli alla spesa, dicono sconsolati medici e infermieri. Tagli che però non sono per tutti. I ricoveri si possono ridurre al minimo, i farmaci pure, il personale può fare turni interminabili, ma di limare gli stipendi da “paperoni” a direttori generali, direttori amministrativi e direttori sanitari non se ne può nemmeno parlare.
E dire che i dirigenti degli ospedali italiani si ritrovano in busta paga cifre da capogiro, che possono arrivare a sfiorare i 250 mila euro l’anno in alcune strutture private (ma quando si parla di privato nella sanità italiana si parla anche di pubblico, visto che questi ospedali vivono in gran parte con i rimborsi di stato e soprattutto regioni).
Nulla di illegale. Gli stipendi – anche quelli di d’oro e di platino –sono in regola con le leggi e i contratti nazionali. Ma di fronte ai bilanci in profondo rosso, alla riduzione dei servizi e alle interminabili liste d’attesa per visite ed esami specialistici , i compensi stellari dei “boss sanitari” fanno indignare più delle auto blu o dei mille altri privilegi dei tanti intoccabili del nostro Paese. Una rabbia più che giustificata, visto che il finanziamento del Sistema sanitario nazionale è stato ridotto di 900 milioni nel 2012, sarà ridotto di 1,8 miliardi nel 2013, per arrivare a oltre 2 miliardi nel 2015. Insomma, livelli così bassi da non garantire spesso i livelli minimi di assistenza. Ma se andiamo a vedere gli stipendi dei baroni della sanità, il discorso è ben diverso.
Il compenso del direttore generale di un ospedale pubblico varia da un minimo di 113 mila a un massimo di 182 mila euro l’anno, con una forbice che supera in molti casi i 60 mila euro passando da una regione all’altra. La cosa diventa ancora più “impresentabile” se guardiamo la busta paga di un dirigente di uguale livello presso alcuni ospedali privati. All’Idi, una delle strutture mediche più importanti del centro Italia, fino al mese scorso il direttore generale guadagnava 234 mila euro. Un’enormità, soprattutto se si considera che lo stesso ospedale non riesce a pagare da mesi gli stipendi al personale. Ora, finito a un passo dal fallimento, il Vaticano (proprietario dell’Idi) ha inviato un commissario, Giuseppe Profiti, che come primo atto ha azzerato i superminimi accordati ai manager negli anni scorsi. Ma è possibile che si arrivi a una tale cura solo sull’orlo del disastro?
Stesso discorso dei direttori generali vale per i direttori amministrativi. Per loro il salario varia da un minimo di 112 a un massimo di 141 mila euro l’anno. Prendono un po’ di meno i direttori sanitari: tra 89 e 145 mila euro (anche in questo caso le differenze dipendono dalle condizioni applicate nelle diverse regione e da strutture pubbliche a private. Il direttore sanitario dell’Idi di Roma, per restare a uno degli esempi più clamorosi, arrivava a guadagnare 229 mila euro).
Insomma cifre altissime nonostante le promesse di ridimensionamento e le pochissime sforbiciate fatte sul serio, come quella inserita nella finanziaria del 2008 (governo Berlusconi). Prima di allora infatti molti manager degli ospedali italiani arrivavano a percepire fino al 20% più di ora.
Anche in quel caso però i tagli non arrivarono dovunque e per tutti. Solo alcune regioni infatti si adeguarono alla legge nazionale e ci fu persino chi preferì evitare di decurtare gli stipendi dei dirigenti facendo cassa con i ticket sanitari.
“Saranno pure legittimi, ma se si possono tagliare i posti letto, perché non si possono tagliare anche gli stipendi stratosferici di questi dirigenti?” protestano a voce bassa tanti pazienti maltrattati in ospedale. La legge e i contratti stanno dalla parte dei manager “paperoni”. Ma che si tratti di leggi e contratti degni di una casta, e da cambiare, è chiaro come il sole a chi è costretto ad aspettare fino a un anno per una Tac. Incredibile che a non accorgersene siano il parlamento, le regioni e chi continua a far finta di niente. In ospedale si può tagliare di tutto. Ma non gli stipendi d’oro dei dirigenti.