La sanità pubblica italiana non gode di buona salute. E le sue patologie sono peggiorate nel corso degli ultimi quindici anni. Anni in cui la politica ha deciso di prestare maggiori attenzioni e cure al privato, lasciando il diritto alla salute disteso su una barella nel corridoio di un pronto soccorso, nonostante al triage gli fosse stato assegnato il codice rosso delle urgenze. è la diagnosi, impietosa, dello stato di salute della sanità pubblica italiana delineato ieri a Bologna dal presidente della Gimbe Nino Cartabellotta nel corso della quindicesima Conferenza nazionale della fondazione.
La sanità pubblica italiana non gode di buona salute. E le sue patologie sono peggiorate nel corso degli ultimi quindici anni
La radiografia del “paziente” è stata impietosa, certo, ma le patologie individuate possono essere curate, ammesso che ci sia la volontà politica di farlo. E la Gimbe le sue ricette le ha racchiuse nel “Piano di rilancio del servizio sanitario nazionale”, con una prescrizione per ciascuna dei mali che affliggono la sanità pubblica: forte sotto finanziamento, drammatica carenza di personale, crescenti diseguaglianze, organizzazione obsoleta e avanzata del privato. L’ultimo annuario statistico del Servizio Sanitario Nazionale, secondo Cartabellotta, “documenta la forte espansione delle strutture sanitarie private accreditate, ovvero rimborsate con il denaro pubblico”.
Entrando nel dettaglio, “nel 2021 gli ospedali accreditati erano 995, un numero quasi raddoppiato in 10 anni rispetto ai 525 del 2011. Tra il 2011 e il 2021, sono aumentate anche le strutture di specialistica ambulatoriale private, passate da 5.587 a 8.778 (ovvero dal 58,9% a 60,4% del totale). Nello stesso arco di tempo, quelle deputate all’assistenza residenziale o Rsa sono passate da 4.884 a 7.984 (da 76,5% all’84%) e quelle per l’assistenza semiresidenziale sono salite da 1.712 a 3.005 (da 63,5% a 71,3%).
Infine, le strutture riabilitative private sono passate da 746 a 1.154 (da 75,1% al 78,2%)”. Per questo, ha aggiunto il presidente della Gimbe, serve regolamentare meglio l’integrazione pubblico-privato, anche “riordinando la normativa sui fondi sanitari, diventati un vero e proprio ‘cavallo di troia’, che dirotta su assicurazioni e sanità privata accreditata risorse pubbliche provenienti dalla defiscalizzazione dei fondi sanitari”.
Ma a far sentire la loro voce dovrebbero essere anche gli utenti: “Fino a quando i cittadini non scendono in piazza per tutelare questa grande pietra preziosa, è difficile che la politica rimetta al centro dell’agenda il Servizio sanitario nazionale”, ha detto ancora Cartabellotta. Per il presidente della Gimbe, “è cruciale e inderogabile un rilancio progressivo e consistente del finanziamento pubblico per la sanità. Al momento, la nota di aggiornamento del Def nel triennio 2023-2025 prevede una riduzione della spesa sanitaria media dell’1,13% per anno e un rapporto spesa sanitaria/Pil che nel 2025 precipita al 6%, ben al di sotto dei livelli pre-pandemia.
Nel 2021 la spesa pubblica pro-capite nel nostro Paese è inferiore alla media Ocse e in Europa ci collochiamo al 16° posto: ben 15 Paesi investono di più in sanità. Impietoso il confronto con i paesi del G7 sulla spesa pubblica: dal 2008 siamo fanalino di coda con distanze sempre più ampie e oggi ormai incolmabili”.
“L’entita’ delle diseguaglianze regionali, e in particolare la ‘frattura’ nord-sud, è ormai di tale entità che è indispensabile potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, nel rispetto dei loro poteri, per ridurre diseguaglianze, iniquità e sprechi e garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute su tutto il territorio nazionale. Attenzione, quindi, alle autonomie differenziate che rischiano di dare il colpo di grazia al SSN”, ha concluso Cartabellotta.