Stipendi dei medici fermi al palo, turnover pressoché inesistente e una spesa in relazione al Pil che, dopo una timida ripresa con il governo giallorosso, torna a ingranare la retromarcia. C’è tutto questo all’interno del secondo report sul sistema sanitario italiano, intitolato Il termometro della salute, redatto da Eurispes ed Enpam.
Nei prossimi sei anni a causa del mancato rinnovamento degli organici ci sarà una carenza di 7mila medici di famiglia
Come sottolinea il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, dopo la pandemia “nel nostro Paese, così come nel resto del mondo, i temi della salute sono infatti balzati al vertice dell’attenzione dei cittadini e dei governi, travalicando i tradizionali contorni delle politiche di settore e imponendosi come snodo centrale delle stesse politiche economiche. Basti pensare alla rivoluzione nella Ue rappresentata dalla parziale condivisione del debito dei paesi aderenti, che ha portato al varo del Next Generation EU e ai Piani nazionali di resilienza”.
Il problema è che a fronte dei tanti investimenti di cui ha bisogno la Sanità italiana, con il governo di Giorgia Meloni si è ingranata la retromarcia con una serie di effetti a cascata che rischiano di mettere in ginocchio il settore.
Il nodo principale del rapporto è senza dubbio quello che guarda ai fondi impiegati per il Servizio sanitario nazionale. “Per almeno 15 anni il Fondo Sanitario Nazionale ha subìto successive decurtazioni nello spirito delle spending review avanzate per assestare i conti pubblici” che “ha prodotto un depotenziamento progressivo delle capacità prestazionali e il declassamento del nostro Paese nelle classifiche mondiali del rapporto tra investimento in sanità pubblica e Pil” si legge nel report.
Nel 2019, ossia nel periodo antecedente la pandemia da Covid-19, “la quota del Pil riservata alla Sanità era scesa al 6,2%, alla quale i cittadini aggiungevano un 2,2% di spesa diretta” a fronte di una “media nell’Europa a 27 che era rispettivamente del 6,4% e del 2,2%”. Ma già all’epoca i Paesi virtuosi facevano molto meglio di noi visto che “in Germania era al 9,9% e all’1,7%, in Francia al 9,4% e all’1,8%, in Svezia al 9,3% e all’1,6%”.
In parole povere l’investimento pubblico in Sanità da parte di Germania e Francia è di più di un terzo superiore a quello italiano. Un gap che si stava lievemente riducendo per effetto degli stanziamenti effettuati per combattere la pandemia e che faceva presagire a una ripresa del settore, almeno fino alla doccia fredda dell’ultima “legge di stabilità con la quota del Pil riservata al Ssn che è tornata a scendere, tendendo a quel minimo storico collocato intorno al 6%”.
Il problema è che gli altri Paesi Ue non hanno invertito la rotta e così il gap sta tornando a correre. Cosa ancor più grave è che davanti a minori investimenti, a pagare le conseguenze sono gli operatori del settore e a cascata i cittadini. Drammatici sono “i dati sulla remunerazione di medici specialisti e infermieri ospedalieri in rapporto al Pil pro capite indicano che il medico italiano ha un reddito pari a 2,4 volte quello medio del Paese, mentre in Gran Bretagna il rapporto sale a 3,6, in Germania a 3,4, in Spagna a 3,0, in Belgio a 2,8”.
Per effetto di queste paghe da fame, unite al fatto che con organici sempre più carenti, è iniziata da tempo la fuga dal settore pubblico per andare a ingrossare le fila di quello privato oppure è in corso la migrazione verso gli altri Paesi Ue. Ma i problemi non sono finiti qui. Per medici, infermieri e altre figure professionali di supporto al Servizio sanitario nazionale, “il mancato turnover e il reiterato blocco delle assunzioni hanno prodotto anche sacche di precariato inconciliabili con la continuità assistenziale. Ma, prima di tutto, ha generato il forte invecchiamento del capitale umano sfociato in un alto numero di pensionamenti”.
“Questo fenomeno, che già ha eroso il numero dei professionisti, è destinato a esplodere nei prossimi anni e investe anche l’area della sanità privata” continua il rapporto di Eurispes-Enpam. “L’anagrafe della classe medica parla chiaro: molti professionisti mediamente attempati, spesso anziani, e pochissimi giovani” visto che “più della metà dell’intera classe medica italiana (56%) (…) tra un quinquennio non saranno più operativi” mentre “i medici giovani, ovvero sotto i 35 anni, sono in Italia solo l’8,8%” a fronte del 30% registrato in Gran Bretagna, Olanda e Irlanda, o comunque superiori al 20% come accade in Germania, Spagna e in Ungheria.
Così tra carenze di organico, invecchiamento progressivo di chi opera nel settore della Sanità pubblica e mancate assunzioni, la situazione non è affatto destinata a migliorare tanto che Silvestro Scotti, segretario generale Federazione Italiana Medici Medicina Generale (Fimmg), presentando il report di Eurispes-Enpam ha spiegato che “nei prossimi sei anni ci sarà una carenza di 7mila medici di famiglia”.