Se il Sistema sanitario nazionale arranca, il ministro Roberto Calderoli rischia di infliggergli il colpo di grazia insistendo sull’autonomia differenziata. A sostenerlo non sono soltanto politici delle opposizioni ma anche – e soprattutto – da chi quotidianamente ‘vive’ negli ospedali. Tra questi anche Mauro Mazzoni, coordinatore nazionale Fassid, secondo cui “già oggi abbiamo 21 staterelli in sanità nei confronti dei quali il ministero della Salute non riesce a svolgere un ruolo di coordinamento, anche perché la legge un po’ glielo vieta”. Per questo, spiega, “è necessario fare ancora più attenzione alla legge Calderoli” in quanto “potrebbe davvero ridurre a nulla il Servizio sanitario nazionale”.
Calderoli nega che l’Autonomia differenziata beneficerà solo al Nord. Ma i dati sulla sanità lo smentiscono su tutta la linea
Cosa ancor più grave, conclude Mazzoni, “come il fenomeno dei medici gettonisti sia diventato realtà anche nei Distretti. “Ma c’è grande differenza tra questi medici, anche dal punto di vista economico. Su alcuni punti è indispensabile mantenere dei punti fermi”. Si tratta soltanto dell’ultimo parere tra i tanti che demoliscono la norma proposta dal ministro leghista, malgrado lui da tempo stia provando a negare ogni problema.
Soltanto lunedì, infatti, Calderoli è tornato a ribadire di voler “sfatare alcuni falsi miti sull’autonomia differenziata” visto che, secondo lui, “è falso che si vogliono favorire le regioni più ricche, nella legge c’è scritto esattamente il contrario e cioè che nulla verrà tolto anche alle regioni che non richiederanno l’autonomia”. Anzi, sempre secondo il ministro, la Sanità pubblica trarrà giovamento dalla sua legge perché “per la prima volta dopo 22 anni verranno definiti i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni da garantire in tutto il territorio nazionale”.
Se le cose stanno così, allora c’è da chiedersi come mai sul provvedimento stiano piovendo innumerevoli critiche. Dubbi che sono stati sollevati anche dall’Unione europea e dal Servizio del Bilancio del Senato che aveva pubblicato una sintesi del documento, ancora in fase di bozza, sulla pagina Linkedin di Palazzo Madama, in cui si leggeva che erano state “rilevate alcune criticità. Nel caso, ad esempio, del trasferimento alle regioni di un consistente numero di funzioni oggi svolte dallo Stato (e delle relative risorse umane, strumentali e finanziarie), ci sarebbe una forte crescita del bilancio regionale ed un ridimensionamento di quello statale”.
Per effetto di tutto ciò si verrebbe a creare, continua l’atto, il “rischio di non riuscire a conservare i livelli essenziali delle prestazioni presso le regioni non differenziate”. In altre parole è più che probabile, per non dire scontato, che le disuguaglianze tra i territori aumentino. Ma se possibile è ancora più duro il passaggio successivo in cui si legge che “le regioni più povere, oppure quelle con bassi livelli di tributi erariali maturati nel proprio territorio, potrebbero avere maggiori difficoltà finanziarie, e dunque ad acquisire, le funzioni aggiuntive”. Un testo che ha scatenato infinite polemiche, fino alla precisazione che era stata pubblicata erroneamente una bozza. Quel che è certo è che il documento in questione non è l’unico ad aver messo nero su bianco i timori, specie legati alla Sanità pubblica, che questo provvedimento possa “spaccare in due il Paese”.
Altri rilievi sono arrivati dalla fondazione Gimbe con il presidente Nino Cartabellotta che si è detto convinto che il decreto Calderoli presenta enormi criticità e rischia di dare “il colpo di grazia al Sistema sanitario nazionale. L’Italia è un Paese spezzato in due rispetto a quello che riguarda la performance nella erogazione dei livelli essenziali di assistenza” e ciò ha generato “una mobilità sanitaria verso le regioni del nord. E non è un caso che le tre regioni che hanno già avanzato e siglato con il governo gli accordi per le autonomie differenziate siano Lombardia, Emilia Romagna e Veneto” visto che sono quelle che “nel 2020 hanno fatto il 94% del saldo attivo della mobilità”. Una spiegazione che smonta la tesi di Calderoli secondo cui non verrebbero agevolate le regioni più ricche a discapito di quelle più povere.