Antonio Magi, presidente dell’Ordine dei medici di Roma, qual è oggi la situazione dei pronto soccorso nel Lazio? C’è stato, come dice Rocca, qualche concreto miglioramento negli ultimi mesi?
“Si sta cominciando a muovere qualche cosa, in questo momento qualcosa migliora sugli accessi ai pronto soccorso solo perché gli accreditati esterni stanno sul Cup. Però, purtroppo, non durerà a lungo perché si intaseranno anche i convenzionati. Sicuramente in questa fase di apertura c’è una lieve riduzione, ma va aumentata l’offerta pubblica degli specialistici, che negli ultimi dieci anni si è ridotta di circa il 50%. In più quelli che ci sono nelle Asl non lavorano al massimale orario: nel Lazio in media lavorano 21 ore e non il massimale di 38, raggiungendo questa cifra verrebbe raddoppiata l’offerta specialistica”.
Ha senso, a suo avviso, fare affidamento sui privati come sfa Rocca?
“Dipende dal modello di sanità che vogliamo. Nel Lazio abbiamo circa 1,2 milioni di malati cronici che se venissero presi in cura dalle case di comunità non si rivolgerebbero più al Cup. Per il resto, che può essere per esempio il caso di una colica che mi richiede un’ecografia, oggi la gente va al pronto soccorso, dove non dovrebbe andare, perché l’offerta non è alta. Finché non avremo le case di comunità non risolveremo il problema”.
Si parla molto dei diversi giorni di attesa nei pronti soccorso prima del ricovero: la sanità nel Lazio è in tilt?
“Abbastanza, purtroppo sì. Perché non abbiamo risolto il problema del personale, nessuno vuole lavorare nel pronto soccorso. E non abbiamo risolto il problema di chi non dovrebbe accedere al pronto soccorso, ma non trova professionisti o solo con tempi molto lunghi. Se mi chiedono sei mesi per un’ecografia, allora vado al pronto soccorso e qualcuno me la dà. Il problema non è solo il pronto soccorso, ma anche il ricovero successivo: mancano i posti letto e i pazienti restano sulle barelle”.
Il Lazio, nel rapporto Agenas, è risultata essere la regione italiana con la più lunga attesa per i codici rossi: a cosa è dovuto questo dato?
“Il problema riguarda la possibilità di essere ricoverati immediatamente. Nel Lazio ci sono 2,7 posti letto per mille abitanti quando in Germania il tasso è di 7,0. E nel Lazio parlo solo di residenti: poi ci stanno gli studenti, i turisti e gli accessi sono superiori. Già per i residenti i posti sono scarsi, figuriamoci per la mole di persone che gira per il Lazio”.
Sul fronte del personale il problema riguarda le assunzioni ferme o il fatto che nessuno vuole lavorare nei pronto soccorso?
“Tutte e due. Sicuramente non si stanno utilizzando tutti gli strumenti per la mancanza di copertura economica. Da una parte molti concorsi vanno deserti, non ci sono professionisti che vogliono lavorarci, per i casi di violenza, le denunce, gli stipendi bassi. Il rischio è che ci si rivolga ai gettonisti per coprire le carenze. L’altro punto è la mancanza di gente che vuole andare al pronto soccorso, circa il 50% dei posti di specializzazione sono andati deserti. Non c’è appeal e bisogna invertire la rotta finanziando il personale del Ssn. Ora è arrivato il momento di investire sul personale, senza personale non c’è sanità”.
Cosa pensa dello spostamento dell’Umberto I di fronte al Pertini?
“Metterlo di fronte al Pertini e vicino al futuro Tiburtino, con al centro lo stadio della Roma, non mi sembra un’idea molto perseguibile, anche in funzione del fatto che dentro Roma si ridurranno le attività. Andrebbero studiate meglio queste ipotesi con un tavolo di regia tra professionisti, istituzioni e università”.